L’eccezionale afflusso di richiedenti protezione internazionale, che si è verificato nell’arco degli ultimi anni presso le frontiere degli Stati membri dell’Unione europea, ha determinato un’emergenza che richiede un’attenta riflessione sulla congruità dei criteri per la determinazione dello Stato membro competente ad esaminare le domande d’asilo e degli strumenti operativi predisposti dalla politica comune d’asilo. Come noto, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (d’ora in avanti indicata come “proposta di riforma”) al fine di adeguare l’attuale disciplina alle esigenze di efficienza nella gestione dei flussi migratori nell’ambito dell’Unione europea. La proposta mira a modificare l’attuale sistema (identificato con la locuzione “Dublino III”) che già aveva accolto i principali contenuti della precedente normativa, adeguandoli agli orientamenti giurisprudenziali espressi dalla Corte di giustizia in materia. Come noto, il testo proposto è ormai da qualche tempo oggetto di un complesso iter negoziale a livello politico e istituzionale il cui esito più recente è rappresentato dall’approvazione da parte del Parlamento europeo della relazione del Comitato Libe che segna un passaggio importante nella procedura di adozione del nuovo regolamento Dublino IV (d’ora in avanti proposta di emendamento). Il sistema Dublino costituisce il quadro normativo entro cui gli Stati membri dell’Unione europea sono tenuti a rispettare l’obbligo di protezione dei richiedenti asilo che è sancito a livello internazionale dalle Convenzioni di Ginevra del 1951 e riconosciuto nell’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Sin dalla sua istituzione, infatti, esso si pone l’obiettivo di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento dello status di rifugiato, mediante l’istituzione di un meccanismo che sia in grado di determinare con “chiarezza, praticità e rapidità” lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. Un tale obiettivo, pertanto, può essere assunto a parametro per valutare l’efficacia dei criteri di ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri dell’Unione europea. Il sistema d’individuazione dello Stato competente a esaminare le domande d’asilo fa leva sul principio fondamentale secondo cui ciascuna domanda deve essere esaminata da un solo Stato membro in conformità ai criteri espressamente definiti dalla normativa in vigore. Tali criteri devono applicarsi nell’ordine in cui sono definiti nel regolamento, tenendo conto della situazione esistente al momento in cui il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale per la prima volta in uno Stato membro. La prassi applicativa dei criteri stabiliti dal “sistema di Dublino” presenta numerose criticità in considerazione della loro particolare incidenza sulle capacità recettive degli Stati membri frontalieri sui quali sempre più spesso ricade l’onere dell’esame delle domande e della relativa presa in carico dei richiedenti protezione internazionale nel caso di massicci sbarchi di cittadini di Paesi terzi e apolidi nei rispettivi territori. L’onere insostenibile che grava sugli Stati di primo ingresso trova riconoscimento nella relazione del Comitato Libe che prospetta il superamento del ricorso al criterio dello Stato di primo ingresso, pur confermando sugli stessi taluni oneri già previsti dalla proposta di riforma del sistema Dublino. La nuova formulazione si auspica possa favorire il superamento degli attuali limiti di una disciplina che non sembra dedicare adeguata attenzione alle reali capacità di accoglienza degli Stati membri su cui ricade la competenza. L’esame della normativa in vigore e della proposta di riforma del sistema Dublino, inoltre, deve tener conto dell’obiettivo di garantire un’adeguata tutela alle persone coinvolte, che dia loro un’effettiva chance d’integrazione nei Paesi dell’Unione europea. La definizione di tale prospettiva d’analisi induce a enucleare i criteri individuati dal “sistema Dublino” in quattro categorie fondamentali, concernenti rispettivamente “la protezione dei minori”, il “rispetto dell’unità familiare”, il “riconoscimento dei diritti in precedenza acquisiti dal richiedente protezione internazionale all’interno di uno Stato membro”, nonché la “rapida definizione della posizione giuridica dei soggetti che non presentano un collegamento effettivo con uno Stato membro dell’Unione”. La valutazione della congruità di ciascun criterio dovrà dunque realizzarsi tenendo conto degli obiettivi di tutela perseguiti e della distribuzione delle responsabilità tra gli Stati membri... (segue)
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