L’incremento degli episodi di violenza trasmigrati nella realtà virtuale, spesso dai più giovani, ha portato i legislatori nazionali e sovranazionali, avvertita dottrina e autorevole giurisprudenza ad interrogarsi su come meglio intervenire per arrestare il diffondersi della commissione degli illeciti on line, che violano i principi fondamentali della Costituzione, in particolare, il principio di uguaglianza (art. 3 ), il principio che garantisce come inviolabili i diritti dell’uomo (art. 2), il diritto all’istruzione (art. 34) e il diritto alla salute (art. 32). Oggi molti aspetti della vita si sviluppano in Rete e di conseguenza chi ne resta escluso è impossibilitato ad esercitare numerosi diritti di cui l’accesso ad Internet è strumentale, come ad esempio, la libertà di espressione, la libertà di informazione, di comunicazione, di associazione, di riunione, di iniziativa economica privata e di libertà politiche. Nella società dell’informazione, la Rete viene ricondotta al concetto di “global common goods” ossia un servizio universale che tutti gli Stati dovrebbero assicurare indistintamente. Tuttavia, vi è chi, attraverso l’accesso ad Internet vede lesi i diritti fondamentali e gli effetti pregiudizievoli da ciò derivanti hanno conseguenze devastanti attesa la amplificata potenzialità lesiva della Rete. Per questo, nella corrente era digitale, l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, si traduce di certo nel dovere di assume iniziative ed interventi di contrasto ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo che si concretizzano in episodi di violenza lesivi del valore fondamentale della dignità della persona e dei diritti inviolabili dell’uomo, frutto delle vicende economiche, sociali e politiche ed ideologiche del Novecento. Al termine del secondo conflitto mondiale si instaura l’esigenza, negli ordinamenti democratici, di accordare sacralità di norma giuridica a taluni principi di libertà, dignità, uguaglianza dinanzi alla legge, come tali vincolanti dell’operato del legislatore e della giurisprudenza. I legislatori costituenti si adoperarono per individuare valori condivisi da tutti e inderogabili anche per lo Stato e gli enti pubblici. Contributo di non poco momento tenuto in debito conto che nel codice civile italiano del 1942 i diritti della personalità trovano una disciplina scarna che offre una tutela circoscritta all’integrità fisica, del nome e dell’immagine (artt. 5-10) specchio di una società in cui, almeno in Europa, l’uomo non sentiva ancora in pericolo la riservatezza dei suoi dati personali, la sua identità e la sua intimità e la curiosità del pubblico non era a ciò orientata. Né esistevano, all’epoca, strumenti realmente in grado di raccogliere informazioni riguardanti un soggetto che voleva tenerle riservate, sicché risultava impossibile tutelare la propria sfera privata dalla curiosità altrui. Tuttavia, la scarsa attenzione alla dimensione morale della persona umana prestata dal codice, non stupisce se contestualizzata nel periodo fascista. E’ con l’avvento della Costituzione del 1948 che si assiste ad un nuovo modo di concepire e tutelare i diritti della personalità, al pari di altre costituzioni europee contemporanee, di istanze personalistiche e solidaristiche. Ma benché possa dirsi storicamente tra le più importanti, la normativa del codice civile del 1942, letta alla luce dei principi costituzionali, non può dirsi autosufficiente in materia di diritti della personalità e si ritiene che essa debba essere coordinata con fonti internazionali. Fondamentale è al riguardo al Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, ma anche la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea adottata a Nizza il 7 dicembre del 2000, ora integrata nel Trattato sulla Costituzione europea (La carta di Nizza stabilisce che “l’Unione Europea pone la persona al centro della sua azione” e afferma l’inviolabilità della dignità umana) unitamente a numerose convenzioni internazionali, non solo europee, hanno contribuito ad arricchire il quadro dei diritti della personalità, tutelando, l’identità personale, diritto di natura giurisprudenziale definito come “l’interesse del soggetto, ritenuto generalmente meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato nella vita di relazione con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale o particolare, è conosciuta o poteva essere riconosciuta con l’esplicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede oggettiva”. Avvertita giurisprudenza ne ha individuato i tratti essenziali sottesi oltre ad aver riconosciuto all’identità personale carattere autonomo rispetto agli altri diritti della personalità in quanto, “l’identità è costruzione continua, è cambiamento, può mutare nel tempo e le sue rappresentazioni esigere appunto il rispetto dei diversi contesti temporali della reale identità del soggetto quale si presenta in un contesto e in un momento determinato è “proiezione pubblica della personalità del soggetto non limitata, come in epoche anteriori in cui il concetto pure esisteva, alle risultanze anagrafiche o alla status, bensì estesa al complesso delle attività poste in essere e al patrimonio culturale e ideologico della persona”.Con la diffusione delle nuove tecnologie informatiche, al fianco della identità personale si sono create le c.d. identità digitali. definite dal Decreto SPID “rappresentazione informatica della corrispondenza biunivoca tra un utente ed i suoi ed i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l’insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale”. Si parla di spersonalizzazione in quanto il soggetto non viene più avvertito per quello che è realmente ma per quello che emerge dagli archivi in cui i suoi dati vengono conservati i quali possono essere anche non aggiornati o completi... (segue)
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Salvatore Aceto di Capriglia (17/04/2024)