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NUMERO 8 - 11/04/2018

 La facoltatività dell'instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio

Nel presente lavoro si analizzerà un istituto classico del diritto amministrativo, vale a dire l’annullamento d’ufficio, e ci si concentrerà in particolare sul tema della doverosità della instaurazione del relativo procedimento quando vi sia una richiesta in tal senso da parte di un interessato (cd. doverosità nell’an).  È noto che l’annullamento d’ufficio viene considerato da sempre come l’esempio per eccellenza di procedimento del tutto facoltativo e incoercibile. Addirittura, la giurisprudenza, anche recente, afferma comunemente che si tratterebbe di un potere «di merito», rispetto al quale la richiesta del privato si configurerebbe come «una mera denuncia con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere un obbligo di provvedere». Sicché, a fronte di tale denuncia, l’amministrazione ben potrebbe rimanere inerte e il suo comportamento non integrerebbe una ipotesi di silenzio-inadempimento. Ovvero, potrebbe legittimamente dichiarare il proprio rifiuto di esercitare il potere in esame emanando un atto cd. meramente confermativo, in sé non impugnabile in quanto, in tesi, non espressivo di potere o, come efficacemente si è detto, difettante di una «volizione intorno a una statuizione». In entrambi i casi, la preoccupazione della giurisprudenza è evitare che, attraverso l’impugnazione del silenzio o del diniego espresso di autotutela, l’interessato ottenga «una sostanziale rimessione in termini quanto alla contestazione dell’originario provvedimento» che egli non abbia impugnato per tempo in sede giurisdizionale. Da ciò deriva, secondo quel che viene talora anche espressamente dichiarato, che «Il diniego espresso di autotutela non è (…) impugnabile per l’esposta assorbente ragione che si tratta di atto espressione di un potere di apprezzamento di interessi pubblici nel loro merito (opportunità, convenienza), su cui il giudice amministrativo non ha giurisdizione». Infatti, «Il giudice non può valutare se il diniego di autotutela è stato bene o male esercitato, perché se ciò facesse la conseguenza sarebbe un ordine, rivolto all’amministrazione, di riesercizio del potere di autotutela secondo parametri fissati dal giudice, ma è evidente che questo sarebbe uno sconfinamento in un potere di merito riservato esclusivamente all’amministrazione e incoercibile». Analogo orientamento è stato da ultimo seguito anche dalla Corte costituzionale che, pronunciandosi in tema di autotutela tributaria, ha statuito che: «Se questa Corte affermasse il dovere dell’amministrazione tributaria di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, aprirebbe la porta (ammettendo l’esperibilità dell’azione contro il silenzio, con la conseguente affermazione del dovere dell’amministrazione di provvedere e l’eventuale impugnabilità dell’esito del procedimento che ne deriva) alla possibile messa in discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo definitivo. L’autotutela finirebbe quindi per offrire una generalizzata “seconda possibilità” di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso contro lo stesso atto impositivo». Come si cercherà di mostrare nel prosieguo, l’impostazione riportata appare non condivisibile sotto molteplici punti di vista e, innanzitutto, perché non in linea con l’ordinamento costituzionale e amministrativo vigente. In effetti, la configurazione attuale della instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio come ampiamente facoltativa (e la conseguente non giustiziabilità della relativa inerzia a fronte di sollecitazioni provenienti da terzi) si configura sempre più come una sorta di “fossile vivente”, specie se raffrontata con l’evoluzione positiva che ha interessato i procedimenti d’ufficio in altri settori del diritto amministrativo. Peraltro, una simile ricostruzione è oggi tanto più inaccoglibile ove si consideri che l’art. 21-nonies ha collocato l’annullamento d’ufficio nel contesto delle garanzie della legge n. 241 del 1990, ossia nell’ambito di una “visione partecipata” dell’azione amministrativa, il più possibile paritaria e, comunque, informata ai principi costituzionali. Quasi consapevole di tale incoerenza di fondo, la giurisprudenza si preoccupa talora di precisare che la suddetta previsione, pur disciplinando «i presupposti e le forme dell’annullamento d’ufficio […], non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all’autotutela». Non sfugge, d’altra parte, che una discrezionalità nell’an, tanto più se ampia, renderebbe poi quasi inutile interrogarsi sulla vincolatezza o sul grado di discrezionalità del contenuto della decisione di annullamento d’ufficio. L’amministrazione, infatti, potrebbe sempre sottrarsi all’esercizio del potere invocando la facoltatività del procedimento: in sostanza, l’annullamento sarebbe dunque sempre rimesso alla scelta riservata dell’amministrazione… (segue)



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