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NUMERO 8 - 17/04/2019

 La Corte costituzionale ancora sulla 'impossibile' legittimazione del singolo cittadino al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato

Con l’ordinanza n. 39 del 2019 la Corte costituzionale è tornata su una questione che ciclicamente la investe, e cioè quella della legittimazione al conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato di un privato cittadino. Benché non manchino precedenti di tal fatta anche particolarmente risalenti, il numero dei ricorsi promossi da un singolo individuo in tale sede si è moltiplicato soprattutto negli ultimi anni. Eppure la Consulta non sembra aver mai fatto aperture significative e neppure palesato disponibilità prospettiche in tal senso. Probabilmente, la circostanza che all’uopo il Giudice costituzionale non sempre abbia fatto ricorso funditus all’argomento della insussistenza del profilo soggettivo, preferendo talvolta, in relazione al caso concreto, valorizzare invece la carenza del profilo oggettivo, potrebbe far pensare a (e, invero, ha fatto ipotizzare) qualche modesta apertura a tale legittimazione, se non altro nel senso della non radicale esclusione dell’eventualità che, prima o poi, possano venire in rilievo situazioni di esercizio di una funzione pubblica costituzionalmente fondata, tali da far assurgere un singolo cittadino alla qualifica di  potere dello Stato. In realtà, però, nelle decisioni di contesto pronunciate nell’ultimo quindicennio la Corte ha più volte affermato che «in nessun caso il singolo cittadino può ritenersi investito di una funzione costituzionalmente rilevante tale da legittimarlo a sollevare conflitto di attribuzione ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 legge n. 87 del 1953». Dictum, quest’ultimo, solo in parte temperato dalla circostanza che, più di recente, l’espressione «in nessun caso» «abbia ceduto il passo a una affermazione ad excludendum più contestualizzata», secondo cui: «la qualità di cittadino elettore non comporta che esso sia “investito” di una funzione costituzionalmente rilevante tale da legittimarlo a sollevare conflitto di attribuzione». D’altro canto, le ipotesi in cui a proporre il ricorso de quo sia stato un singolo cittadino nelle “spoglie” vesti di persona fisica non sono poi così rare. Alcune, peraltro, consegnano la sensazione del tentativo avventuroso. Si pensi al conflitto sollevato da un soggetto che si è definito componente «dell’organo costituzionale “corpo elettorale”», che la Corte ha censurato, tra l’altro, in ragione di «una malintesa percezione del “potere diffuso”». O ancora a quello coltivato da un privato «nella qualità di cittadino che adempie ai doveri costituzionali di fedeltà e difesa della Repubblica e della Costituzione», in quanto «investito direttamente dalla Costituzione (artt. 52 e 54) della funzione pubblica di rango costituzionale consistente nella (eccezionale) difesa del nucleo fondamentale e intangibile, protetto dagli artt. 1 e 139 della Costituzione, della forma repubblicana e democratica dello Stato», ritenuto anch’esso dalla Consulta «palesemente inammissibile» sotto il profilo soggettivo. E infine a quello praticato «nella qualità di elettore avente diritto ad esprimersi nel referendum costituzionale» in riferimento alla formulazione non chiara del quesito. In altri casi, invece, e per quanto possibile, i ricorsi de quibus sono stati almeno ammantati da un (seppur lato) collegamento a una funzione costituzionalmente rilevante, sì da meglio giustificare l’attivazione dello strumento del conflitto tra poteri, quale istituto residuale di tutela di attribuzioni costituzionali. In tal senso, alcuni ricorsi hanno visto i singoli ricorrenti adire la Consulta quale «difensore impedito nell’esercizio del potere costituzionale della difesa» ex combinato disposto degli artt. 24 e 41 Cost.; ovvero come delegati comunali (effettivi o supplenti) all’espletamento degli eventuali adempimenti connessi ai referendum di cui all’art. 132, comma 2, Cost. o come rappresentanti dei comitati promotori di questi ultimi. Non è mancato, infine, chi si è anche (auto)qualificato «titolare del diritto costituzionalmente garantito di petizione al Parlamento» ex art. 50 Cost.. In questi casi la Corte costituzionale ha avvertito la necessità di soffermarsi più dettagliatamente sulle carenze del profilo oggettivo dei ricorsi, sul necessario tono costituzionale del conflitto costituzionale e, più in generale, sui suoi limiti intrinseci. A tal proposito: ha escluso, quindi, tra l’altro, che il ricorso presentato da un privato cittadino possa essere ammesso ove altrimenti possibile adire la sede della legittimità costituzionale in via incidentale, sì da evitare che, di fatto, esso equivalga ad «una sorta di ricorso diretto per la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione legislativa». Ha ribadito la necessità che «venga prospettata in termini inequivoci una lesione della sfera delle attribuzioni determinate da norme costituzionali». Ha rimarcato che il conflitto tra poteri non possa essere manipolato al fine di ottenere «una sorta di accesso diretto per la tutela di diritti soggettivi» o che «si trasformi in un atipico mezzo di gravame avverso le pronunce dei giudici» e che venga, dunque, «utilizzato come strumento generale di tutela dei diritti costituzionali, ulteriore rispetto a quelli offerti dal sistema della giurisdizione». In altri termini, alla luce di questo breve excursus tra i più significativi precedenti del tema in oggetto, non si può dire che la Corte costituzionale abbia mai lasciato trasparire brecce capaci di incrinare la marcata percezione di chiusura alla legittimazione di singoli cittadini al conflitto tra poteri… (segue)



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