Se osservata attraverso la lente del diritto, la multiforme pluralità dei discorsi che vanno svolgendosi intorno ai c.d. beni comuni rivela un elemento unificante: l’esistenza di una relazione tra questi beni e il valore della persona umana. Questo riferimento ha una doppia specificazione. In primo luogo, il valore della persona non è indeterminato ma rinvia a uno statuto semantico storicamente definito: le libertà e i diritti fondamentali attraverso cui la personalità dell’uomo si esplica nella contemporaneità. L’espressione “persona”, in questo senso, individua un canone che, come istanza culturale, appare capace di superare il contesto dell’esperienza giuridica dello Stato costituzionale-democratico e percorrere il mondo manifestando una singolare universalità: quella di una nuova condizione dell’uomo in quanto tale. Questa istanza -come vedremo- intende contrastare la tendenza della lex mercatoria a dettare l’ordine della globalizzazione ed imporsi come nuovo diritto naturale. In secondo luogo, il legame tra beni comuni e persona è visto come costitutivo secondo una forma specifica: i beni comuni sono entità essenziali al godimento effettivo dei diritti e delle libertà fondamentali della persona. Questo vincolo di essenzialità svolge due funzioni: selezionare i beni rilevanti come comuni; orientarli verso modelli di comprensione e di regolazione non soltanto diversi, ma anche opposti a quelli costitutivi della logica mercantile: il calcolo della convenienza e la massimizzazione del profitto individuali. Infatti, la relazione con la persona dovrebbe connettere regolativamente questi beni al contesto dell’essere, nella sua capacità espressiva di una logica contrapposta e prevalente rispetto a quella dell’avere. Ciò avverrebbe per una ragione: la disfunzionalità del principio proprietario rispetto alla gestione dei beni comuni. L’idea è che, proprio perché essenziali allo svolgimento della personalità dell’uomo, questi beni non debbano essere utilizzati secondo il modello dell’attribuzione individuale e dello sfruttamento esclusivo: un modello inappropriato a comprendere e realizzare le “ragioni” che la persona umana proietta su queste risorse. Dunque, il giudizio di inadeguatezza (disfunzionalità) viene orientato da un criterio non economicistico ma culturale: la centralità della persona umana. Questa situazione non può non sorprendere lo studioso del diritto privato abituato – nonostante la Costituzione- ad un rapporto di forze radicalmente opposto tra le ragioni dell’essere e quelle dell’avere: quello che, nella modernità, produce l’assorbimento progressivo da parte del mercato dei luoghi di espressione dell’esistenzialità umana. Il riferimento evidente al discorso giuridico è alla c.d. patrimonializzazione della persona e al paradosso per cui tale fenomeno viene talvolta erroneamente percepito come rafforzamento della sua tutela giuridica e perciò conquista di civiltà… (segue)
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