
Le tre sentenze della Corte di giustizia del 6 novembre 2018, ormai note come sentenze “sulle ferie”, invitano innanzitutto ad una considerazione generale. Ogni volta che i tempi della politica del percorso di integrazione europea sembrano segnare il passo, l’integrazione strettamente giuridica, e per via giudiziaria, sembra invece segnare un’accelerazione o, quanto meno, non mostra di volere seguire l’esempio di quella politica. La Corte di giustizia, con queste, e invero anche con altre pronunce ad esse successive, sembra riaffermare con forza utensili centrali del proprio contributo al percorso di integrazione, quali la nozione di effetto diretto applicata in relazione alla tutela dei diritti fondamentali, di cui è ormai davvero asfittico sottolinearne la sola funzione strumentale al primato del diritto dell’Unione ed è verosimilmente ormai sbagliato leggerla come subordinata alla realizzazione del mercato interno, pur essendo inevitabile e connaturato alla stessa struttura del diritto fondamentale che esso conosca, nella sua applicazione concreta, varie specie di temperamenti, che senza lederne l’essenza, ne condizionino le modalità di esercizio in funzione di altri interessi generali del sistema (in questo senso, puntualmente, l’art. 52, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Se certamente è vero che non esiste una competenza dell’Unione europea in tema di diritti fondamentali (art. 6, par. 1, secondo comma, TUE, ma anche e più specificamente, l’art. 51, par. 2 della Carta), è però altrettanto vero che nel campo di applicazione di quel diritto, la Corte di giustizia intende esercitare quella tutela al livello più alto possibile, conscia che l’art. 53 della Carta le impone una soglia minima di protezione rappresentato dall’acquis in materia di diritti fondamentali, e che si ricava dal diritto internazionale (consuetudinario o pattizio), dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalle costituzioni nazionali, sì che il livello di protezione dei diritti fondamentali derivante dall’interpretazione e dall’applicazione della Carta, se diverso da quello garantito dalle costituzioni nazionali, dovrebbe essere assicurato ad un livello più elevato. Né va sottaciuto che le tre sentenze sulle ferie sono state pronunciate dalla grande sezione della Corte di giustizia, formazione giudicante prevista dall’art. 251 TFUE, alla quale sono riservate, salvo il caso di richiesta da parte di uno Stato membro o di un’istituzione, le cause in funzione della loro “importanza, difficoltà o particolari circostanze”. Esse rappresentano infatti l’approdo, o forse più esattamente la consapevole conferma, di una giurisprudenza che intende ribadire, con la formazione più autorevole, il valore dell’effetto diretto applicato alle norme della Carta e la struttura sottostante il diritto fondamentale, che se pure viene ribadito nella essenziale formulazione del precetto “costituzionale” consegnato ad una norma della Carta, si ricostruisce, e va ricostruito, attraverso un contenuto “nutrito” dal diritto derivato. Nello stesso senso, del resto, la posizione della grande sezione della Corte nel caso Egenberger, con riferimento agli artt. 21 e 47 della Carta ovvero la già ricordata pronuncia Cresco del 2019, relativa al suo art. 21… (segue)
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