
Il risultato “dello Stato Sociale e democratico di diritto”, del primato della Costituzione e dei principi fondamentali di uguaglianza, sovranità nazionale e integrità territoriale, che conferma il “naufragio” definitivo del progetto politico dell’indipendentismo catalano. Con queste e altre parole Pedro Sánchez ha commentato dal Palazzo della Moncloa l’attesa sentenza n. 459/2019, sul cd. procés, con cui il 14 ottobre il Tribunale Supremo ha messo la parola fine a un importante capitolo giudiziario della vicenda indipendentista catalana nell’ordinamento spagnolo. Un giudizio diametralmente opposto a quello espresso dal Presidente della Generalità, Quim Torra, che ha definito la sentenza “ingiusta e antidemocratica”, un attacco all’indipendentismo e al diritto all’autodeterminazione della Catalogna, annunciando la celebrazione di un nuovo referendum sull’indipendenza dalla Spagna. I commenti dei due capi di governo sintetizzano emblematicamente la profonda frattura creatasi nei rapporti tra Madrid e Barcellona negli ultimi anni, da cui è scaturita -secondo una diffusa opinione dottrinale - una delle più importanti crisi politico-costituzionali dall’entrata in vigore della Costituzione spagnola del 1978. La crisi catalana ha assunto, nel corso della sua lunga involuzione degenerativa, una connotazione incostituzionale e gravi implicazioni penali che hanno portato a una “judicialización” estrema del conflitto politico, attestata in questi anni dal continuativo intervento del Tribunale Costituzionale e sfociata, da ultimo, nella storica sentenza sul cd. procés. Questa sentenza ha suscitato grande interesse politico e mediatico a livello nazionale e internazionale poiché ha emesso l’atteso verdetto sui 12 politici indipendentisti catalani accusati di diversi reati (ribellione, sedizione, appartenenza ad organizzazione criminale, uso illecito dei fondi pubblici, disobbedienza civile) per il loro diretto coinvolgimento nel processo secessionista compiutosi in Catalogna nell’autunno del 2017. Il verdetto è stato molto duro perché ha confermato ampia parte delle accuse formulate dal Pubblico Ministero (Fiscalía) e dall’Avvocatura di Stato, soprattutto nei confronti dei nove leader indipendentisti catalani in stato di carcerazione preventiva, che sono stati condannati per i reati di sedizione e malversazione con pene di reclusione e interdizione dalle cariche pubbliche comprese tra i 9 e i 13 anni. La pena più elevata è stata inflitta all’ex vicepresidente della Generalità, Oriol Junqueras, condannato per il reato di sedizione in concorso con quello di malversazione a 13 anni di carcere e all’inabilitazione assoluta, con la conseguente definitiva privazione di tutti gli onori, impieghi e cariche pubbliche, anche di natura elettiva, e la incapacità di ottenerne ulteriori per l’intera durata della condanna. Per i reati di sedizione e malversazione, anche Raül Romeva, Jordi Turull e Dolors Bassa, ex membri del Governo della Generalità, sono stati condannati a scontare le medesime pene carcerarie e interdittive per la durata di 12 anni. A Josep Rull e Joaquim Forn, condannati per il reato di sedizione ma assolti per quello di malversazione, è stata inflitta, invece, una condanna di 10 anni e 6 mesi; così come, per il solo reato di sedizione, sono stati condannati l’ex-presidente del Parlamento catalano, Carme Forcadell, costretta a scontare una pena di 11 anni e 6 mesi, nonché i leader delle organizzazioni indipendentiste di Asamblea Nacional Catalana e Òmnium Cultural, Jordi Sànchez e Jordi Cuixart, entrambi condannati a 9 anni. Pene e sanzioni di natura diversa ed entità nettamente inferiore sono state inflitte a Santi Vila, Carles Mundó e Meritxell Borràs, ex membri dell’esecutivo catalano, condannati per il reato di disobbedienza a 1 anno e 8 mesi di interdizione dalle cariche pubbliche elettive e al pagamento di una multa diaria di 200 euro per 10 mesi… (segue)
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