
Dalle elezioni in Sardegna e in Abruzzo si possono trarre alcune indicazioni sulle tendenze istituzionali in atto. Innanzitutto, queste elezioni sono state a lungo al centro dell’attenzione delle televisioni e dei giornali nazionali, con dirette sui risultati alla stregua di quanto accade per le elezioni parlamentari. Ciò è stato possibile perché esse si sono svolte in giorni diversi. Quanto più le elezioni regionali si svolgeranno singolarmente, tanto più esse assumeranno spazio comunicativo. La tendenza naturale è, per una ragione o per l’altra, alla ulteriore diversificazione delle date, sembra un dettaglio, ma non lo è. Infatti, nonostante tale inusitata attenzione mediatica, i votanti sono diminuiti, in Sardegna dal 53,17% al 52,4% e in Abruzzo dal 53,11% al 52,19%. Vale la pena ricordare che l’affluenza alle elezioni politiche del 2022, pur essendo calata di ben nove punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti, si è comunque attestata 63,91%. Certo, i dati di Sardegna e Abruzzo non sono quelli catastrofici della Lombardia, dove nel 2023 andò a votare solo il 41,68% degli aventi diritto con una diminuzione del 31,42% rispetto alla tornata precedente, ma comunque confermano la tendenza. Nelle elezioni regionali, né l’attenzione mediatica, né l’elezione diretta del Presidente, né l’immediata conoscenza dei risultati riescono a tenere alta la percentuale dei votanti. Soprattutto da parte dei partiti, le riflessioni serie su questi dati sono state veramente poche, forse perché mettono in evidenza con troppa crudezza la crisi di rappresentatività dei partiti stessi e dell’istituto regionale. Tuttavia, queste elezioni lasciano intravedere anche dei segnali di ripresa del loro ruolo. Innanzitutto, di fatto e senza polemiche significative, è stato (finalmente) abbandonato qualsiasi riferimento ad elezioni primarie. Questo metodo di selezione delle candidature è, infatti, assolutamente inadatto a scegliere un candidato di coalizione per elezioni dirette... (segue)
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