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NUMERO 12 - 11/06/2014

 Se il contenuto della digitalizzazione è il legame sociale

Qualsiasi incipit ai fenomeni comunicativi contemporanei non manca di mettere in luce un dato apparentemente semplice: la digitalizzazione è essenzialmente un procedimento che consente di separare il contenuto dal supporto fisico di memorizzazione. Anche per effetto della continua estensione della Rete, l’informazione, diventa dunque in grado di raggiungere ogni luogo del pianeta. Se il presupposto tecnologico di quella che, in omaggio a una certa retorica del nuovo, non smettiamo di appellare come rivoluzione digitale appare sostanzialmente compreso dagli osservatori, molto resta da analizzare per quanto riguarda le conseguenze sociali. A questa oggettiva debolezza degli studi corrisponde un preoccupante parallelismo tra deficit di conoscenze acquisite, e verificate empiricamente, e aumento esponenziale dei discorsi sul digitale. Detto altrimenti sappiamo molto poco, ma parliamo moltissimo, e forse questa ipertrofia delle narrazioni funziona come indicatore inequivocabile di quanto non sappiamo. Benvenuta dunque una nuova piattaforma di riflessione culturale e scientifica. Da questo disallineamento cognitivo possono emergere alcuni interrogativi utili quantomeno a inquadrare il fenomeno in prospettiva storica. Perché, ad esempio, in un momento di crisi come quello attuale (solo secondariamente economica e più radicalmente collegata a una criticità che attiene alla grammatica dello stare assieme in società) invece di cercare le rassicuranti certezze che potrebbero derivare da un assetto comunicativo già sperimentato, decidiamo di investire con fiducia quasi cieca nel nuovo purché sia nuovo? Probabilmente il logorio delle istituzioni deve aver giocato un ruolo decisivo nel rendere meno prudenti gli osservatori... (segue)



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