editoriale di Matteo De Poli
Nate per servire l’economia reale fungendone da complemento necessario per il continuo sviluppo della stessa mediante l’erogazione del credito raccolto tra il pubblico dei risparmiatori, nell’ultimo quarantennio le banche hanno intrapreso e portato a progressivo compimento un processo di allontanamento dalla modalità tipica del loro agire, quella segnata dalla coppia di attività “raccolta del risparmio – erogazione del credito”; è sì vero che tale processo di snaturamento rispetto alla funzione tradizionale dell’attività bancaria ha toccato particolarmente le banche americane e inglesi, ma – seppure in misura minore - esso è stato avvertito anche nell’Europa continentale. Quanto questo processo abbia giovato alla crescita e allo sviluppo economico tutti – oramai, e amaramente - lo sappiamo. Delle banche, pertanto, si parla oggi con accenti fortemente critici: l’ingordigia e l’avidità dei loro manager sono oggetto di commissioni d’indagine, programmi elettorali, progetti legislativi; la loro ritrosia nel finanziare il mondo produttivo sta alla base delle tensioni tra banchieri e settori produttivi; la loro capacità – specie delle grandi banche d’affari - di
insinuare loro rappresentanti persino nei governi dei più importanti paesi del mondo, compreso il nostro, autorizza i più a colorare con il colore del retro-pensiero anche le scelte più coraggiose. E, poi, nel 2008, è arrivato il castigo della
Global Financial Crisis, la situazione in cui il mondo è stato più vicino alla
Great depression del 1929. Il legame tra crisi finanziaria e banche (o, comunque, sistema finanziario, del quale le banche sono gli esponenti più rilevanti) è percepito e noto, oramai, da tutti, tanto e tale è stato l’impatto sulla quotidianità dei più di noi. Carnefici e vittime allo stesso tempo, l’ingegneria finanziaria che le banche hanno per prime esperimentato si è ritorta contro loro stesse, mettendole rapidamente in ginocchio¸ dapprima in Gran Bretagna (il caso di Northern Rock rimarrà nella storia dei
run on the bank) ma, poi e fondamentalmente, negli Stati Uniti e da lì in tutto il mondo civilizzato e finanziarizzato. Parzialmente immuni nella crisi finanziaria 2007 - 2009, le ottomila banche europee - che gestiscono più del cinquanta per cento degli attivi di tutto il sistema bancario mondiale - sono ora al centro di una nuova, e forse più grave, crisi, questa volta legata ai debiti sovrani e agli investimenti in titoli pubblici che esse avevano fatto. Un drammatico
continuum, dal 2007 a oggi, una
downward spiral da film dell’orrore, che ha posto le banche al centro delle agende dei
policymakers di tutto il mondo. Come si pone, ci si deve chiedere, il legislatore comunitario verso questo sistema bancario? In che misura i legislatori nazionali hanno perduto la loro sovranità nei confronti del sistema bancario?... (segue)