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NUMERO 6 - 25/03/2009

 Una crisi nella crisi: il caso degli Stati membri centro-orientali dell’Unione Europea

“Non esiste alcuna categoria Paesi dell’Europa Orientale”. Questa il commento del Presidente di turno dell’Unione Europea, il Primo Ministro ceco Mirek Topolanek, uscendo dal vertice comunitario speciale d’inizio a marzo a Bruxelles. Vertice convocato in merito alla crisi economica e finanziaria, anche sull’onda delle cattive notizie in arrivo da est, con il repentino forte deprezzamento di quelle valute nazionali, con il rischio d’insolvenza di molte banche locali, in gran parte di proprietà d’istituti bancari stranieri, ma soprattutto con una decisa contrazione dell’attività economica, presagio di una crescita in deciso rallentamento, quando non anche in fase di arretramento. 
Un incontro importante il Consiglio U.E. tenutosi all’inizio di questo mese. Ad uscire respinto in quella sede, in primis dai nuovi Stati membri “più virtuosi”, è stata la richiesta del Premier ungherese Ferenc Gyurcsany di un aiuto finanziario ad hoc per i Paesi del centro-est Europa. Aiuti proposti per un importo compreso tra i 160 ed i 190 miliardi di Euro. No, dunque, ad un pacchetto dedicato per i Paesi centro-orientali; sì invece ad interventi mirati e selettivi per i Partners più in difficoltà.
Una prima risposta, dunque, dell’Unione Europea ai dirompenti effetti della crisi globale sugli ancor fragili sistemi economici e finanziari della cosiddetta ”nuova Europa”. Una crisi nella crisi, con alcuni dati di fondo in comune, ma soprattutto con molte specificità nazionali. Pur muovendo da una stessa base di partenza, economie centralizzate e di piano tipiche del socialismo relae, diversi sono stati i percorsi economici compiuti dai singoli Paesi negli ormai quasi venti anni dalla caduta della Cortina di Ferro e nei diciotto dal dissolvimento per l’URSS, per quanto riguarda i tre Stati baltici. Tra gli elementi di comunanza spicca soprattutto la sete di capitali con cui avviare a trasformazione i propri sistemi economici e recuperare il ritardo di sviluppo e crescita rispetto all’Europa occidentale. Capitali abbondantemente affluiti in questi anni soprattutto dal sistema bancario, dagli investimenti stranieri, della privatizzazione di aziende a proprietà statale e dall’emissione di prestiti obbligazionari. 

(segue)



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