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NUMERO 19 - 05/10/2016

 Silenzio assenso tra Amministrazioni

Il percorso di attuazione della legge delega sulla riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, la cd. riforma Madia di cui alla legge n. 124 del 2015, segnato dalla progressiva entrata in vigore dei vari decreti legislativi da essa contemplati, ha conosciuto ultimamente un passaggio ulteriore – dai tratti certamente meno usuali, per quanto tipici – rappresentato da un atto avente natura diversa, non normativa, eppure sicuramente destinato ad incidere in modo significativo sull’applicazione di una delle prime e più discusse disposizioni di riforma dettate dalla legge del 2015. Con parere n. 1640/2016 del 13 luglio 2016, infatti, il Consiglio di Stato, attraverso una Commissione speciale appositamente istituita – analogamente a quanto già avvenuto per i pareri sugli schemi di decreto legislativo – ha fornito una lunga risposta ai quesiti ad esso specificamente sottoposti dall’Ufficio legislativo del Ministero per la semplificazione e la pubblica Amministrazione, relativi ad una pluralità di dubbi e problemi emersi in sede di applicazione dell’art. 17 bis della legge n. 241 del 1990, recante disciplina del cd. silenzio assenso tra Amministrazioni, e inserito nella legge sul procedimento amministrativo dall’art. 3 della citata legge Madia. Esso desta sicuramente interesse sotto vari punti di vista, e non soltanto per i suoi contenuti, per il merito delle opzioni interpretative espresse, ma anche per ragioni più squisitamente formali e di politica istituzionale, per la specificità della relazione tra Governo, nell’esercizio della funzione normativa e di indirizzo politico, e Consiglio di Stato, in sede consultiva, che pare emergere attraverso i pareri via via intervenuti sulla riforma del 2015 e che risalta nettamente in quest'ultimo. Si tratta certamente di una relazione che si muove entro binari tipizzati – la funzione consultiva peculiare della delegazione legislativa e quella contemplata più in generale dall'art. 14 del T.U. del 1924 delle leggi sul Consiglio di Stato, il quale “dà parere sugli affari di ogni natura, per i quali sia interrogato dai Ministri del Re” - ma di essa colpisce l'approccio, il modo con il quale l'organo consultivo si pone nei confronti del Governo. Nel parere di cui si tratta, invero, il Consiglio di Stato avverte il bisogno di sottolineare, sin dall'esordio, “l'utilità che possono rivestire le funzioni consultive...concepite come sostegno in progress riferito ad una policy, a un progetto istituzionale, piuttosto che esclusivamente a singoli provvedimenti individuati”, e in un certo modo celebra il quesito posto dal Governo come una risposta a “questo Consiglio [che nel parere sul decreto cd. Trasparenza] insisteva sulla necessità di guardare oltre l'atto normativo, poiché il buon esito di una riforma amministrativa è strettamente condizionato dalla relativa fase attuativa”, ragion per cui “si suggeriva, in particolare, l'attivazione di una costante interlocuzione istituzionale con il Consiglio di Stato proprio attraverso un ricorso sistematico al flessibile strumento dei quesiti”. D’altra parte, proprio in quel parere, era contenuto quello che potrebbe essere definito come una sorta di vero e proprio ‘manifesto’ per il ruolo consultivo del Consiglio di Stato, ripreso poi anche in quello in esame, e di cui alcuni passaggi paiono molto significativi dell’atteggiarsi di questa nuova relazione, imperniata sulla riforma Madia come ‘spartiacque’ verso una “rinnovata visione dell’Amministrazione pubblica” e una conseguente nuova veste che l’organo consultivo potrebbe assumere nel disegnare questa nuova concezione dell’amministrazione... (segue)



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