Una analisi comparata degli strumenti di partecipazione contemplati dagli Statuti degli enti territoriali, in un ambito geografico omogeneo, può costituire un modo per osservare le caratteristiche dei modelli e coglierne le particolarità, con le eventuali simmetrie o i significativi scostamenti. Il dato comune, come è noto, è che la previsione degli istituti di partecipazione costituisce contenuto degli Statuti regionali che, secondo l'art. 123 Cost., devono regolare l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione, e contenuto obbligatorio per Comuni e Città metropolitane ai sensi di quanto contemplato dall'art. 1, comma 50, della legge 56 del 2014, e dall'art. 4 della legge 131 del 2004. Altro elemento comune è che, in generale, gli istituti di partecipazione hanno mostrato una intrinseca debolezza perchè non sono stati, nell'esperienza, in grado di portare un effettivo contributo in termini di incidenza sulla formazione della decisione pubblica. Può essere, pertanto, utile ragionare sulla maniera in cui si sono integrate democrazia diretta e partecipativa e democrazia rappresentativa considerando il modo in cui si sono manifestate le autonomie statutarie nel disciplinare i contenuti, in parte fissati dalla fonte costituzionale e legislativa come contenuto necessario, e, in parte, lasciati al libero dispiegarsi della discrezionalità dell'ente. Nel procedere in tal maniera, occorre tener conto di due fattori che non sono di scarso rilievo. Il primo è che si tratta di enti con forme di autonomia differenti, e solo la Regione ha una competenza di tipo legislativo... (segue)
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