Il problema se il processo amministrativo sia dato per l’affermazione della giustizia in favore di chi agisce o di una legalità oggettiva, si riaffaccia con andamento ricorrente fra gli studiosi del processo amministrativo e da differenti angoli di osservazione. Uno di questi è quello della capacità di esser parte e dell’interesse che muove le parti del processo amministrativo, tema che vede il parallelismo col processo civile più proclamato che praticato. Il raffronto fra processo civile e amministrativo sul punto è, fra i molti, quello che più di ogni altro consente di saggiare la persistenza di tratti (reali, o invece solo supposti) di specialità del secondo rispetto al primo. Il tema infatti, proprio perché strettamente connesso al tipo di processo in cui le parti sono destinate a operare, nel processo amministrativo è stato storicamente definito rispetto al modello del giudizio impugnatorio, caratterizzato dalla centralità della domanda costitutiva di annullamento di un atto dell'amministrazione. Il criterio oggettivo dell’atto ha costituito dunque il parametro utile all’individuazione delle parti necessarie, finite così per coincidere con quei soggetti ‘minimi’ (la pubblica amministrazione e il ricorrente) tra cui instaurare il rapporto processuale in presenza di una domanda diretta a contestare un atto in cui si estrinseca il potere di cui è titolare l’amministrazione. Lo stesso criterio è del resto servito anche all’identificazione del terzo rispetto a quei soggetti minimi, e la sua possibile qualificazione come parte necessaria si giustifica in quanto soggetto direttamente contemplato nell’atto o individuabile in base al vantaggio che l’atto gli attribuisce. La progressiva attenzione anche nel processo amministrativo alla concreta dinamica degli interessi, oltre la loro cristallizzazione nello schema di atto in contestazione, mina il criterio dell’atto e la sua autosufficienza, e pone sotto nuova e diversa luce il problema dell’esatta identificazione delle parti. Ciò spiega del resto perché anche nel modello impugnatorio, e anche prima che la sua centralità nel sistema delle tutele si attenuasse, quel processo, sebbene riguardante l’atto di un soggetto pubblico, si sia configurato come un processo di parti in senso stretto, secondo il modello di tutela delineato dall’art. 24 Cost. a protezione di posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo e, nei casi di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Si tratta tuttavia di un approdo che convive con significativi scostamenti rispetto alla disciplina codicistica, com’è evidente rispetto al tema della capacità di esser parte e della capacità processuale corrispondenti, rispettivamente, alla capacità giuridica e alla capacità di agire trasportate nel processo. L’esigenza di controllo della titolarità del rapporto controverso dal lato attivo o passivo si atteggia infatti nel processo amministrativo in modo differente rispetto a quello civile in cui la verifica della capacità di esser parte configura il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione ed è riconosciuta in astratto, sul presupposto che chi agisce in giudizio vi abbia anche un interesse (art. 100 c.p.c.). Qui invece, sia che vada sotto il nome di legittimazione a ricorrere (e perciò descriva la speciale posizione qualificata di chi agisce in giudizio rispetto all’esercizio del potere amministrativo), sia che si declini come interesse a ricorrere (e perciò indichi l’utilità del provvedimento richiesto “inteso come mezzo per acquisire all’interesse leso la protezione accordata dal diritto”), non serve a individuare come nel processo civile il soggetto legittimato ad agire in giudizio, ma serve a identificare la posizione giuridica soggettiva su cui verte il giudizio e richiede un accertamento di merito sull’effettiva titolarità della stessa da parte del ricorrente. Il profilo si sovrappone dunque con quello della causa petendi, cui è storicamente correlato, e finisce così per confondersi con quello della stessa emersione dell’ interesse legittimo, divenendo lo strumento con cui il giudice amministrativo restringe o amplia l’ambito del “meritevole di tutela” e, simmetricamente, quello degli “affari non compresi” di cui all’art. 3 LAC, com’è evidente in alcuni approdi che rimettono in discussione la stessa natura sostanziale dell’interesse pretensivo... (segue)
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