La transizione verso la democrazia della Polonia ha rivestito un ruolo di primario interesse nel processo di assestamento costituzionale dell’intera Europa centro-orientale. Tale constatazione acquisisce oggi un peso ancor maggiore, se si riflette sulla portata della crisi istituzionale che ha investito il Paese a partire dai mutamenti politici verificatisi nel 2015. Nel maggio di quell’anno, infatti, il candidato del partito conservatore, nazionalista ed euroscettico, Diritto e Giustizia (PIS), Andrzej Duda, è divenuto Presidente della Repubblica polacca, anticipando il successo, alle elezioni politiche dell’ottobre del 2015, del suo partito, che, con il 37,58% dei voti, ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi sia al Sejm (Camera bassa), sia al Senato. L’esecutivo si è quindi reso protagonista di una serie di interventi normativi che hanno posto in seria discussione gli equilibri dello stato di diritto, rendendo di fatto inoperanti gli organi fondamentali di garanzia. In particolare, la nuova strategia politica del partito Diritto e Giustizia promette il ritorno a un modello di stato autoritario, con il controllo da parte dell’esecutivo sulle istituzioni statali (magistratura compresa), il depotenziamento della libertà dei mezzi di informazione pubblici e privati, la promozione di misure assistenzialiste e la limitazione dei diritti di libertà e sociali. In tale scenario, particolarmente regressiva si è rivelata la riforma della giustizia costituzionale, intesa a limitarne l’autonomia dal potere politico: ne è nato un lungo scontro istituzionale, che ha coinvolto lo stesso Tribunale costituzionale, il Sejm e il Presidente della Repubblica, e ha chiamato in causa la Corte di giustizia dell’Unione europea… (segue)
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