Il modello costituzionale britannico - caratterizzato dall’avere una forma costituzionale storica, evolutiva, non scritta, sintesi di un grande processo che vede ancora oggi, di fronte all’esistenza della una solida monarchia, un assetto parlamentare nel quale l’Esecutivo è di derivazione propriamente parlamentare e il leader del partito maggioritario è anche il primo ministro del governo – ha subito una forte scossa dopo l’approvazione del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, soprattutto per un Paese da sempre molto cauto nella sua partecipazione all’assetto politico-istituzionale europeo. Infatti, il c.d. referendum sulla "Brexit", che si è svolto in un contesto di crescente euroscetticismo e populismo antieuropeo il 23 giugno 2016 nel Regno Unito e a Gibilterra, di tipo consultivo e non vincolante per verificare il sostegno alla continuazione della permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, ha diviso come non mai questo Regno, essendosi concluso con un risultato favorevole all'uscita dall’Unione europea (pari al 51,89% contro il 48,11% che ha votato per rimanere), con la maggioranza di Inghilterra (tranne Londra) e Galles favorevoli a uscire e la maggioranza di Scozia e Irlanda del Nord che hanno votato per rimanere, mostrando con chiarezza una spaccatura profonda tra le singole realtà nazionali del Regno Unito. Così, di fronte alle grandi difficoltà nelle quali versa il Governo di Theresa May nel tenere unito il Regno dando seguito alla volontà espressa in quel voto e nel tentare di conservare, parimenti, gli alti standard del passato per l’economia britannica, quel «cattivo affare della Brexit» come ha sostenuto Tony Blair non soltanto ha qualificato tutte elezioni successive di ogni ordine e grado, aumentando di molto il tasso di frammentazione e di incertezza politica nel sistema politico ed istituzionale britannico, ma rappresenta nei fatti - oggi più che mai - il cuore del dibattito che caratterizza e qualifica le prossime elezioni europee… (segue)
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