Le più recenti decisioni della Corte costituzionale di particolare rilevanza quanto al tema dell’accesso vanno collocate nello scenario in cui è nitida una linea di recessione del campo della decisione politica e di espansione della giurisdizione, espansione che si compie sia con la produzione giurisprudenziale della norma sia con il ruolo crescente del giudice nella soluzione del conflitto politico. In questo quadro di sistema, anche la Corte, come tendenzialmente ogni altro giudice, opera – ora secondo consolidate modalità, ora forgiando nuovi strumenti e nuove tecniche discorsive – attraverso un’attrazione selettiva nel campo della giurisdizione. L’attrazione è del giudice costituzionale verso se stesso, e curando sempre di conservare il governo del quantum possa spettare ai giudici comuni (la linea di demarcazione più sensibile è con le giurisdizioni superiori di legittimità), e di controllare il grado di porosità dei confini con le giurisdizioni sovranazionali europee, della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte costituzionale conforma la propria strumentazione concettuale secondo un criterio di elevata elasticità, sicché il revirement è evento estremo e raro, potendo quasi sempre addursi una linea di continuità, per quanto difficile da comprovare e spesso segnata da aporie non del tutto occultabili con retoriche di coerenza. L’obiter è lo strumento per “testare” la praticabilità di un approccio a questioni complesse per i soggetti e le relazioni ordinamentali coinvolte. Si fa ricorso a categorie indistinte e concettualmente aperte, che si prestano a un impiego empirizzante. L’approccio ricostruttivo alle relazioni ordinamentali è il più adatto a ricercare le “zone” in cui i confini trascolorano, i poteri si sovrappongono, le definizioni perdono compattezza e capacità prescrittiva, per ridursi a descrivere processi fluidi da assecondare nella loro fattualità (non irresistibile, forse, ma certo non resistita)… (segue)
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