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NUMERO 12 - 13/06/2012

 Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti

La legislazione dell’emergenza o, per dir meglio, la legislazione delle manovre che si è sviluppata, non senza accenti di drammaticità, nel corso dell’ultimo anno, ha prodotto un frutto decisamente originale e destinato, se verrà conservato nell’ordinamento, ad avere un impatto pratico considerevole e ad incidere non poco sui caratteri del nostro processo amministrativo. L’art. 35 del d.l. n. 201 del 2011, decreto denominato Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici e più noto alle cronache come “decreto salvaItalia”, è intitolato al Potenziamento dell’Antitrust. Esso ha introdotto nella l. n. 287 del 1990 il nuovo art. 21 bis, a sua volta intitolato ai Poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza. L’art. 21 bis affida ad AGCM la legittimazione “ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”. Il comma 2 detta una peculiare sequenza procedimentale che l’Autorità è tenuta ad osservare. Essa, quando “ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate”. Quando l’amministrazione non si conforma nei 60 giorni successivi a tale comunicazione, l’Autorità ha 30 giorni di tempo per proporre il ricorso, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Il comma 3 dell’art. 21 bis sottopone questo giudizio all’applicazione della disciplina concernente i riti abbreviati, di cui all’art. 119 e ss. c.p.a. Che ad un ente pubblico e ad una amministrazione, quale sicuramente l’AGCM è, il legislatore abbia assegnato una legittimazione ad impugnare gli atti amministrativi così ampia è, come si intuisce da subito, una novità dirompente nel processo. A guardare ancor più da vicino l’istituto, ci si convince che il suo impatto è ancor più significativo, nonostante la sua apparente limitazione al tema della concorrenza. In primo luogo, si deve registrare un dato più generale il quale ci offre un contesto storico ed una linea di tendenza del legislatore meritevoli di una attenta sottolineatura. Nel corso di questi ultimi anni il processo amministrativo ha registrato l’ingresso di alcune nuove funzioni attribuite al giudice. La prima è quella della c.d. azione di classe nei confronti della p.a., che mira a sollecitare, tramite l’iniziativa diffusa tra i singoli interessati, un controllo giudiziale sui livelli di efficienza dell’amministrazione (L’istituto è disciplinato dal d. lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, con la denominazione di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici). L’attore utilizza una posizione individuale che sembra (pur con qualche incertezza interpretativa di cui dobbiamo tener conto) sganciarsi dalla solida consistenza giuridica dell’interesse legittimo e del diritto soggettivo e che perciò lambisce l’interesse di mero fatto, vale a dire quello che appartiene ad ogni singolo cittadino, che si riassume nell’interesse pubblico generale al buon andamento dell’azione amministrativa e che, proprio per questo, resta innominato e indefinito e, di regola, insufficiente a fondare la legittimazione processuale... (segue)



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