La vicenda alla quale si riferiscono le succinte notazioni che seguono è particolarmente istruttiva sotto più aspetti. Nel testo di riforma licenziato dal Consiglio dei ministri il 31 marzo di quest’anno, l’ultima delle disposizioni transitorie, di cui all’art. 33 dell’articolato, stabiliva che “le disposizioni della presente legge costituzionale” dovessero applicarsi anche alle Regioni ad autonomia differenziata (e, naturalmente, alle Province autonome di Trento e di Bolzano) “sino all’adeguamento dei rispettivi statuti”. Una disposizione, invero, di problematica lettura, tale persino da far pensare alla sospensione dell’intero regime di specialità ed al, sia pur provvisorio, appiattimento della condizione di autonomia delle Regioni in genere, in attesa del rifacimento degli statuti speciali: un’attesa che – come c’insegna l’esperienza maturata dopo la revisione del 2001 – potrebbe rivelarsi anche molto lunga, comunque temporalmente indefinita. Sta di fatto che, davanti al rischio incombente del livellamento in parola, particolarmente virulenta è stata la reazione venuta dai vertici politico-istituzionali della Regione siciliana, con l’approvazione unanime da parte dell’Assemblea di un ordine del giorno che deplorava la scelta e la richiesta immediata da parte del Presidente della stessa Assemblea di un incontro col Presidente della Corte costituzionale, di cui francamente mi sfugge la ratio, come ho tenuto a dire in un mio commento a prima lettura del disegno, nel quale tra l’altro ho riflettuto a riguardo dei possibili significati della previsione normativa suddetta (v., dunque, volendo, il mio Note minime a prima lettura del disegno Renzi di riforma costituzionale, in federalismi, 8/2014, § 7.2)... (segue)
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