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 Il giudice unico delle pensioni tra autonomia magistratuale, certezza e uniformità del diritto

L’obiettivo della certezza del diritto, nei sistemi giuridici dei paesi a diritto codificato (c.d. Civil law), dovrebbe essere perseguito, essenzialmente, mediante la chiarezza dei testi normativi, secondo il noto brocardo <<in claris non fit interpretatio>> dove per <<chiaro>> deve intendersi <<espresso>>. La formula, consacrata nell’art. 12 delle preleggi, esclude in linea di principio ogni interpretazione ad opera del giudice in quanto la <<lettera>> della norma dovrebbe essere sufficiente a garantire l’uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini dinanzi alla legge (casi uguali decisi in modo uguale). 
L’interpretazione del giudice, negli ordinamenti giuridici dei Paesi anglosassoni (c.d. Common law) assolve, invece, alla precipua funzione di formare la regola vigente, che è prevalentemente di natura giurisprudenziale, essendo fondata sullo stare decisis.
Nella realtà dei fatti, è evidente la contaminazione tra i due modelli culturali, tenuto conto che la chiarezza dei testi normativi, presupposta dal potere <<nullo>> del giudice immaginato da Montesquieu, è oggi pura utopia, vista l’estrema frammentarietà delle norme vigenti. E’ recente il monito del Capo dello Stato (lettera del Presidente Napolitano del 15 luglio 2009, in occasione della promulgazione della legge sulla sicurezza) secondo cui <<La formulazione, la struttura e i contenuti delle norme debbono poter essere “riconosciuti” (Corte costituzionale n. 364 del 1988) sia da chi ne è il destinatario sia da chi deve darne applicazione>> così come, già nella Lex Caecilia Didia <<De modo legum promulgandarum>>, risalente al 98 a.C., si vietava di introdurre disposizioni eterogenee in un unico testo (de duabus rebus una lege non coniungendis)...

(segue)



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