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di Tommaso E. Frosini
Il potere di scioglimento: formalmente presidenziale, sostanzialmente governativo
Partiamo dal dettato costituzionale. L’art. 88 Cost. riconduce l’atto di scioglimento alla titolarità del Presidente della Repubblica. Solo il Capo dello Stato, infatti, «può» sciogliere le Camere osservando tre limiti: uno di natura sostanziale e due di natura procedurale. Per quanto riguarda il limite sostanziale, il secondo comma dell’art. 88, come modificato dalla l. cost. n. 1 del 1991, dispone che il Presidente non possa sciogliere le Camere «negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura». Si tratta del c.d. “semestre bianco”, gli ultimi sei mesi di durata della presidenza, e la norma risponde alla necessità di evitare che un Presidente ambizioso e desideroso di essere rieletto, verificata la contrarietà del Parlamento, decida di scioglierlo perché spera in un esito elettorale a lui favorevole. Gli altri due limiti sono di natura procedurale. In primo luogo, il Capo dello Stato deve sentire i due Presidenti delle Camere prima di procedere a scioglimento. In secondo luogo, l’art. 89 Cost. dispone che ogni atto del Presidente della Repubblica non è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità, ovvero dal Presidente del Consiglio dei ministri ove si tratti di atti con valore legislativo... (segue)
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