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di Paola Torretta
Anche il premio di maggioranza finisce nel contenzioso pre-elettorale: quando manca un giudice e il Parlamento non può giudicare se stesso
Ancora una volta, al rinnovo delle Assemblee parlamentari si ripropone il problema della giurisdizione sulle operazioni preliminari al procedimento elettorale. Il voto del 24 e 25 febbraio scorso ha visto l’impugnazione dinanzi al T.A.R. Lazio degli atti che hanno dato avvio alla consultazione popolare, di cui si è chiesto l’annullamento per “illegittimità derivata”. Come in un analogo ricorso presentato successivamente alle elezioni politiche del 2008, il vizio denunciato, infatti, non ha riguardato una loro ‘intrinseca’ irregolarità, ma il riflesso della presunta illegittimità (costituzionale) del criterio con cui si è attribuito il premio di maggioranza nei due rami parlamentari, a seguito dello scrutinio. Le modalità che nella legge elettorale vigente definiscono l’assegnazione del 55% dei seggi delle Camere alla lista o coalizione vincitrice alle urne “altererebbero profondamente [secondo l’elettore ricorrente] i risultati del voto” determinando, di conseguenza, l’invalidità delle operazioni elettorali, comprese quelle preparatorie del voto. Per tali ragioni, l’istanza al T.A.R. introduce anche l’incidente di costituzionalità sulla disposizione che disciplina il suddetto meccanismo premiale, ma per arrivare a questo ‘traguardo’ deve preliminarmente rinnovare al giudice amministrativo la questione della giurisdizione in materia di contenzioso pre-elettorale politico, sollecitandolo a rivedere l’indirizzo accolto, alla luce dei mutamenti intervenuti nel tessuto normativo interno. Si richiama, innanzi tutto, la delega legislativa – ad oggi rimasta inevasa - che prefigura la competenza della giustizia amministrativa sugli atti propedeutici alle elezioni delle Camere (l. n. 69/2009 (art. 44, II c., lett. d))... (segue)
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