Sebbene negli ultimi anni i conflitti in tema di insindacabilità parlamentare siano in sostanziale diminuzione, così come pronosticato da alcuni autori, le recenti pronunce della Corte Costituzionale testimoniano il permanere di una certa tensione fra poteri che si consuma al cospetto dell’organo giurisdizionale supremo, l’unico deputato a risolvere in maniera dirimente le doglianze circa la spettanza in concreto della contestata prerogativa. Protagonista indiscussa dell’annoso scontro fra Parlamento e Magistratura, la guarentigia dell’insindacabilità, tale quale è riconosciuta dall’art. 68, comma primo della Costituzione, ha assunto dei connotati via via differenti, in base all’esito degli accadimenti politici, della giurisprudenza cd. camerale, dei decreti-legge, delle leggi attuative e delle cospicue pronunce della Corte. L’ago della bilancia nei giudizi sui conflitti, infatti, si è inclinato ora verso la Magistratura (decretando l’annullamento delle delibere parlamentari di insindacabilità), ora verso il Parlamento (attraverso pronunce meramente di rito, quali quelle di inammissibilità o di improcedibilità, ovvero dichiarando sussistenti i presupposti di cui all’art. 68, comma primo Cost. e convalidando la delibera di insindacabilità). Nonostante il progressivo affinamento nei criteri valutativi della giurisprudenza della Corte costituzionale, alcune criticità insite nella materia non hanno trovato soluzione, suscitando piuttosto casi rilevanti presso la Corte di Strasburgo. Il tribunale europeo, adito in varie occasioni sotto il profilo della violazione dell’art. 6 § 1 CEDU, non ha esitato ad ammonire ripetutamente l’Italia. Nelle more di un intervento legislativo che possa far proprie le obiezioni di Strasburgoal fine di attuare pienamente i principi del giusto processo ex art. 111 Cost., il giudizio costituzionale sull’insindacabilità ha continuato a vestire i panni del conflitto di attribuzione e si è eccentricamente evoluto sino a far parlare di “tribunalizzazione della Corte”... (segue)
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