Il testo della riforma del bicameralismo paritario di cui al recente disegno di legge costituzionale che, approvato in prima lettura dal Senato, è approdato alla Camera (A.C. 2613 – A), sembrava blindato, a tal punto che ad ogni rilievo critico veniva attribuito il valore di un’esercitazione di retroguardia. Il clima politico sembra però cambiato e serpeggiano voci di aperture anche sul nuovo Senato che incoraggiano a riprendere le esercitazioni. Queste, a loro volta, nascono dalla convinzione (o dall’illusione) che anche i progetti di legge costituzionale non si muovono in uno spazio del tutto libero ed illimitato giacché, come è stato sostenuto, non possono ignorare l’esigenza della coerenza istituzionale che può considerarsi, anch’essa, un inviolabile “principio” costituzionale. In questa prospettiva il progetto di riforma del Senato appare affetto da alcune disarmonie. Parlare di bicameralismo diseguale non è sufficiente a giustificare ogni assetto del rapporto tra le due Assemblee. Affermare che il Senato riformato seguita a costituire, accanto alla Camera dei Deputati, il Parlamento della Repubblica italiana (art. 55) e seguita a partecipare alle stesse attribuzioni in precedenza riconosciute al Parlamento in seduta comune (art. 90 Cost.: messa in stato di accusa del presidente della Repubblica; art. 91 Cost.: giuramento di fedeltà del Presidente della Repubblica; art. 104, 3° c. Cost.: elezione di 1/3 CSM; 135 u.c. Cost., elenco dei giudici aggregati della Corte Costituzionale), appare un residuo del vecchio regime bicamerale paritario, incoerente con la nuova composizione e le nuove attribuzioni del Senato... (segue)
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