Questo breve scritto intende mostrare come il rapporto tra fonti interne ed europee sia stato elaborato nel sistema inglese, soprattutto dalla giurisprudenza, in modo da consentire in ogni momento un cambiamento di idea circa la partecipazione del Regno Unito all’Unione europea. Pur avendo accettato nel tempo il primato del diritto europeo, sia anche in un valzer di ripensamenti - soprattutto negli ultimi anni - l’UK sembra infatti aver posto una serie di paletti utilizzabili come uscite di ‘emergenza’ che ben gli potrebbero consentire di tornare indietro sui propri passi., senza alcun problema, come se il processo di integrazione europeo non fosse mai stato avviato. Il risultato ultimo - ci sembra - è quello di aver recepito il fondamento costituzionale della primazia del diritto eurounitario proposto dalla stessa Corte di giustizia europea soltanto in maniera formale ma non anche sostanzialmente, finendosi con il riportare sempre alla volontà del Parlamento di Westminster tale preminenza. Sorprende invero il tentativo esperito dai giudici inglesi volto ad affermare, in particolare in una pronuncia del 2002, due punti/uscite di sicurezza:
Al pari del diritto internazionale a cui, come si diceva al punto 1, il rapporto tra diritto interno e diritto europeo è paragonato - salvo non si tratti di diritti fondamentali non potendosi assimilare la CEDU ai trattati internazionali - gli atti di origine pattizia quali lo stesso Trattato UE risultano produttivi di effetti nel sistema normativo interno unicamente in virtù dell’intervento di una disposizione legislativa domestica che ne stabilisca la recezione. In questa prospettiva è il Parlamento inglese a dettare le ‘condizioni’ (nonché a porre limiti) dei rapporti tra fonti e non già le istituzioni europee. Dando il proprio consenso all’integrazione della fonte non domestica, anche eventualmente modificativa del diritto interno, mediante un proprio atto legislativo conforme alla normativa esterna – sia essa europea o internazionale – il Parlamento resta così sovrano anche nel manifestare una volontà contraria, potendo accordare prevalenza al diritto interno piuttosto che a quello non domestico, salvo la necessità di una dichiarazione ‘espressa’ di volontà parlamentare volta a modificare le disposizioni in particolare europee... (segue)
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