
La pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite 20 gennaio 2014, n. 1013, in materia di sindacato del giudice amministrativo sugli atti dell'Autorità Garante della Concorrenza e del mercato (da ora AGCM), sembra aver messo un punto definitivo, nel bene o nel male, all’annosa questione dell’individuazione dei confini entro i quali deve e può esplicarsi il potere di controllo del giudice amministrativo rispetto agli atti sanzionatori delle Autorità Amministrative Indipendenti. Tale pronuncia, individuando nell’attendibilità della decisione dell’Autorità il limite al controllo sulle soluzioni tecniche opinabili, volge la sua attenzione alla porzione di provvedimento rispetto alla quale il giudice è investito della giurisdizione generale di legittimità, ovvero relativa alla sussistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione. Questa circostanza porta inevitabilmente a spendere qualche considerazione sul diverso e ulteriore profilo problematico, ancora irrisolto, del rapporto tra la cognizione del giudice rispetto al “segmento” provvedimentale oggetto della pronuncia de qua e quella estesa “anche al merito” relativamente al quantum della sanzione pecuniaria; approdo quest’ultimo codificato nel disposto dell’art.134 lett.c) Dlgs.104/2010 (Codice del processo amministrativo, da ora c.p.a.), ma già da tempo fatto proprio dalla giurisprudenza amministrativa. La trattazione intende concentrarsi su quest’ultima parte del giudizio sull’atto che -per quanto possa apparire superfluo precisarlo- viene astrattamente distinta, ma insiste su una frazione del provvedimento che altro non è che il frutto e la diretta conseguenza dell’attività di accertamento tecnico dei presupposti per l’inflizione della sanzione esercitata nella fase immediatamente precedente e che dunque non potrebbe che partecipare della stessa natura. In forza di tale semplice constatazione, non può farsi a meno di sollevare qualche perplessità sulla tenuta logica, prima ancora che tecnico-giuridica, della soluzione ormai pacifica in giurisprudenza, secondo cui il giudizio sulle parti del medesimo provvedimento risulta qualitativamente scisso in due valutazioni, una di legittimità e una di merito. Per portare alla luce le criticità e le incongruenze cui si perviene per effetto dell’astratta distinzione tra giurisdizione di legittimità sull’accertamento dei presupposti sanzionatori e giurisdizione di merito sul quantum sanzionatorio, è utile primariamente ripercorrere le tappe attraversate dalla prima giurisprudenza nazionale sul punto, nonché da quella successiva, arricchita dagli impulsi al livello internazionale. Successivamente, si passerà ad una breve disamina del percorso storico che ha seguito nel nostro ordinamento il concetto di “giurisdizione di merito”, dalle origini fino ad oggi, per porlo a confronto con la diversa nozione di “merito amministrativo”. Per ora basti dire che la questione assume rilevanza, ai fini che qui interessano, in quanto la distinzione tra i due concetti non è mai stata ben salda, al punto che le due nozioni vengono spesso sovrapposte, così generando equivoci circa il reale significato da attribuire alle prerogative di controllo del giudice amministrativo sui provvedimenti delle Authorities. In ultimo, si spenderà qualche considerazione rispetto alla compatibilità con i principi del giusto processo ex art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (da ora CEDU), tanto dei procedimenti innanzi alle Authorities, quanto del successivo controllo giurisdizionale sui provvedimenti ad opera del giudice... (segue)
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