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Il contributo che i seminari di federalismi.it hanno inteso dare al dibattito sulla riforma costituzionale è di costruire occasioni di «tregua mobile» nel fragore del conflitto ideologico: in diverse sedi e in tempi diversi dare elementi per una valutazione di merito in vista di una decisione difficile e, per molti versi, dilemmatica. Una decisione sulla quale la nostra personale posizione, anche se siamo costituzionalisti o giuristi orientati al costituzionalismo o politologi, non avrà alcun plusvalore rispetto a quella di qualsiasi altro cittadino: non si tratta di understatement, si tratta propriamente di un dato di sistema, poiché si vota sulla base della propria esperienza comune non sulla base della propria competenza o delle proprie conoscenze. E questa è la «scommessa» della democrazia: che il diritto di voto si eserciti in modo personale e responsabile, cioè in modo avvertito sui contenuti, e non per annegamento entro la massa indistinta dell’adesione acritica. Dunque non v’è in queste iniziative alcuna aristocratica pretesa di rivelare ciò che sia «vero», «conveniente», «responsabile», in modo da orientare nella scelta referendaria. V’è solo l’intendimento di dare una lettura, tecnicamente fondata, dei contenuti di un testo complesso, e delle conseguenze nell’ordinamento della sua approvazione o della sua reiezione in ragione del contesto in cui il mutamento è destinato a collocarsi. Lettura tanto più necessaria in considerazione dell’ampiezza e della profondità dell’intervento di revisione, che rende assai disomogeneo il quesito e dunque particolarmente problematico l’impiego di uno strumento quale il referendum, intorno alle cui modalità d’impiego, in presenza di grandi e articolate questioni di sistema, si va formando un crescente discredito (dopo la cosiddetta Brexit, perpetrata per via referendaria, Amartya Sen – che costituzionalista non è, ma al quale nessuno potrebbe disconoscere capacità di pensiero complesso e che è dotato di quel buon senso capace di resistere vittoriosamente al senso comune, dono raro nel tempo presente – ha dichiarato, in un’intervista al Corriere della Sera: «Bisognerebbe ricorrere al referendum soltanto per questioni semplici e isolate … In democrazia certe questioni dovrebbero essere decise da chi governa ma dopo aver avviato una discussione pubblica, con controllo dei fatti …»). Qualche risultato è stato ottenuto (si spera non provvisoriamente). Pare siano stati messi da parte i toni escatologici delle parti avverse: l’approvazione della riforma sarebbe un evento tale da dissolvere il sistema democratico; la mancata approvazione porterebbe al disastro. E anche i sostenitori della revisione ora ammettono il carattere largamente imperfetto delle soluzioni proposte, e convengono sulla prospettiva di «correzioni» e «aggiustamenti» almeno nella fase della messa in opera... (segue)
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