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La riforma costituzionale può essere vista come l’esito più naturale del processo di trasformazione del sistema politico e istituzionale cominciato a partire dalla fine della cd. prima repubblica. Alla sua base vi sono alcuni “fatti normativi” spesso volutamente trascurati nel dibattito. Tra questi i più importanti sono: la caduta del muro di Berlino nel 1989 che, con il venir meno della cortina di ferro, ha determinato anche la fine del “secolo breve”; i referendum per la democrazia maggioritaria del 1991 e del 1993 (il cui plusvalore politico si è concretizzato, almeno nella sostanza, nella legislazione elettorale del 1993, del 2005 e, ora, del 2015); il fallimento della riforma federale del 2001, materialmente riscritta per effetto della giurisprudenza costituzionale nella direzione di un regionalismo meno conflittuale e più cooperativo; la trasformazione del sistema politico che, dopo la scomparsa per via giudiziaria dei partiti che avevano fatto la Repubblica, e la formazione di nuove ma destrutturate e instabili forme partitiche, ha causato una crisi politico-istituzionale permanente; la presidenza di Giorgio Napolitano e, in particolare, dopo la sua rielezione quasi all’unanimità, il mandato “costituente” da lui stesso direttamente assegnato ai governi e al Parlamento della XVII legislatura, allo scopo di fare riforme urgenti per l’ammodernamento del Paese. Se a questi fatti normativi associamo la considerazione che le modifiche proposte intervengono su quelle che Augusto Barbera ha chiamato le “pagine lasciate aperte” dal Costituente, ossia proprio sui due “compromessi dilatori” che nella seconda parte riguardano proprio la forma di governo parlamentare e l’assetto dello stato regionale, appare chiaro che il disegno della Repubblica italiana, contenuto nella legge di revisione costituzionale, non ha nulla a che vedere con il caso o l’arbitrio, ma rappresenta lo svolgimento di un lungo, graduale e tormentato processo “costituente”, divenuto possibile svanite le condizioni (interne e internazionali) che ne impedivano il manifestarsi. Di questa vicenda sono magna pars i tentativi falliti di fare le riforme costituzionali: fallimento, però, che rispetto ai fatti normativi richiamati ha rappresentato, secondo il noto “paradosso delle riforme”, il principale fattore di manifestazione di una “resistenza” politica e culturale alla modernizzazione del Paese... (segue)
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