Prima ancora di avanzare qualche ipotesi sulla decisione che la Corte costituzionale assumerà in occasione della trattazione delle questioni di legittimità costituzionale dell’Italicum nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2017, si ritiene auspicabile che quello della sentenza n.1/2014 resti un precedente isolato e ciò sostanzialmente per due ordini di motivi. Il primo è che non sembra coerente con l’assetto costituzionale della divisione dei poteri che sia un organo di garanzia come la Corte, il cui compito principale è quello del controllo di costituzionalità delle leggi, a fissare le regole della competizione elettorale, per supplire, anche in questo caso, all’inerzia dell’assemblea legislativa. Il secondo motivo è che, di questo passo, attraverso la ormai consolidata tecnica dell’azione di accertamento, che elude il divieto della fictio litis, qualsiasi legge elettorale sarà sistematicamente rimandata al controllo della Corte, soprattutto da parte di quelle forze politiche che avranno perso le elezioni e che non esiteranno a percorrere la via giudiziaria al fine di delegittimare l’assemblea rappresentativa votata con quella legge. In altre parole, c’è il rischio che, con il sistema dell’azione giudiziaria di accertamento come pretesto per adire la Corte costituzionale, ci sia sempre qualche giudice a quo disposto ad attivare il controllo di costituzionalità, con la conseguenza che il Parlamento e le sue funzioni sarebbero costantemente a rischio di delegittimazione. Del resto, è quanto accaduto proprio con la sentenza n. 1/2014, allorquando, pur avendola Corte «messo in sicurezza» il Parlamento votato con la legge Calderoli, sottolineando che la decisione «non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto», sia in ambito dottrinario che politico non si è esitato a ritenere l’assemblea rappresentativa delegittimata dalla dichiarazione di incostituzionalità. Si tratta di un argomento che, tra l’altro, è stato molto utilizzato anche nel corso del recente processo di revisione costituzionale, che secondo alcuni non avrebbe potuto essere realizzato da un Parlamento le cui regole elettorali erano state dichiarate incostituzionali. Solo che allora viene da chiedersi come mai nessuno sollevi obiezioni in questa specifica circostanza, in cui ci si affida senza riserve (come è giusto che sia) alla Corte, tra i cui componenti ce ne sono alcuni eletti da quello stesso Parlamento. Né obiezioni vengono sollevate sul ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, che pure è stato eletto da quella stessa assemblea. Ma queste sono considerazioni a latere, che non è il caso di sviluppare oltre in questa sede. Ciò che invece va ribadito è che una nuova pronuncia di accoglimento da parte della Corte può comportare il rischio di gravi incertezze sul piano politico e istituzionale nei confronti di un Parlamento costantemente nell’occhio del ciclone. Per non parlare poi - ma questo è un discorso che meriterebbe ben più ampie riflessioni - del ruolo che in questo modo verrebbe assegnato ai giudici e delle interferenze per nulla auspicabili tra magistratura e politica. Infine, una notazione sul modello di controllo di costituzionalità, rispetto al quale, di fatto, verrebbe a delinearsi la possibilità (attraverso il sistema dell’azione di accertamento, di cui l’eccezione di incostituzionalità è parte integrante) di un ricorso diretto da parte dei cittadini, non solo in relazione al diritto di voto ma per qualsiasi diritto costituzionalmente riconosciuto... (segue)
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