La pronuncia della Corte costituzionale del prossimo 24 gennaio si può annoverare a buon diritto e per evidenti ragioni tra quelle a più alto impatto politico che la storia istituzionale recente ricordi. Questa premessa, sebbene scontata, è tuttavia necessaria per articolare un ragionamento su quale potrebbe essere l’esito di tale pronuncia, atteso che, purtroppo, il piano strettamente giuridico sembra non essere sufficiente per costruire scenari ed occorre tenere in considerazione anche il piano dell’opportunità politica. Si dirà: ma la Corte costituzionale è organo giurisdizionale e non può e non deve assumere decisioni con riferimento al piano dell’opportunità politica. Ciò certamente è vero, ma pensare che i giudici costituzionali non abbiano chiare le conseguenze politiche del loro operato è fare un torto eccessivo alla loro sensibilità istituzionale ed è irrealistico. Peraltro, che a Palazzo della Consulta abbiano chiarissimo il riflesso delle loro pronunce è certificato dal rinvio che la stessa Corte ha deciso, lo scorso settembre, proprio con riferimento alla discussione sull’Italicum che era stata fissata per il 4 ottobre, in piena campagna referendaria. Proviamo, dunque a vedere per quale motivo, in base ad un ragionamento strettamente di diritto, ci si dovrebbe attendere una pronuncia di inammissibilità e per quale ragione, invece, ciò non è affatto scontato, anche in considerazione della situazione politico-istituzionale contingente... (segue)
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