Non vi è dubbio che quello della trasparenza amministrativa sia un tema rispetto al quale negli ultimi anni si è progressivamente manifestata una crescente attenzione da parte dei governanti, condizionati in particolare dalla necessità di offrire adeguate risposte alla pressione esercitata dall’opinione pubblica a seguito del diffondersi dei fenomeni di corruzione e illegalità all’interno delle pubbliche amministrazioni. La necessità di garantire un più elevato tasso di democraticità e legalità al sistema istituzionale, ed in particolare all’attività della pubblica amministrazione, è stato infatti perseguito attraverso il tentativo di introdurre più elevati standard di trasparenza e pubblicità. Questa condizione si è particolarmente acuita in una fase storica come quella attuale in cui il ruolo degli esecutivi appare in crescente espansione a causa delle esigenze di celerità e tempestività imposte ai processi decisionali pubblici dall’impellenza di fenomeni sociali ed economici sempre più complessi ed urgenti, come tali difficilmente governabili ricorrendo ai percorsi decisionali parlamentari. Il tema della trasparenza amministrativa, e conseguentemente quello della implementazione di forme diffuse di controllo sull’operato della pubblica amministrazione, ha dunque fatto la propria comparsa nel dibattito politico quotidiano, dando vita, negli ultimi anni, ad un vero e proprio movimento di opinione, anche tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, in favore del riconoscimento di più ampie forme di tutela in grado di superare le logiche, finora prevalenti, della segretezza e riservatezza dell’azione dei pubblici poteri. Del resto, trasparenza e democrazia sono due principi strettamente intersecati tra loro: non vi è dubbio, infatti, nonostante che per secoli a prevalere sia stata una rigida cultura della segretezza, che la trasparenza del potere sia un connotato indefettibile delle democrazie moderne. Le scelte operate dal legislatore italiano negli ultimi anni si inscrivono a pieno, almeno nelle intenzioni, all’interno di questo contesto di riferimento: prima con l’approvazione del d.lgs. 33/2013, poi, più recentemente, con le modifiche apportate allo stesso dal nuovo decreto legislativo in materia di trasparenza approvato in esecuzione della delega conferita dal Parlamento nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione (legge 124/2015, c.d. legge “Madia”). In particolare, stando alle affermazioni espresse dagli stessi componenti dell’esecutivo che hanno contribuito alla stesura del decreto delegato, con la recente approvazione del d.lgs. 97/2016, anche l’Italia si sarebbe dotata di un proprio Foia. Il riferimento operato dal Governo è, chiaramente, al Freedom of Information Act (Foia) statunitense, approvato nel 1966, e ormai considerato come prototipo delle legislazioni più evolute nel senso del maggior grado di accessibilità e trasparenza garantito alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, con questo esplicitando il modello normativo di riferimento cui, almeno nelle intenzioni del legislatore, la disciplina italiana si sarebbe ispirata. Viene da chiedersi dunque se, effettivamente, il richiamo operato dal Governo al modello normativo d’Oltreoceano sia pertinente e rappresentativo del suo contenuto o se pure si tratti solo di un mero, se pur suggestivo, anglicismo. Obiettivo di questo contributo è proprio quello di analizzare il contenuto della riforma tentando di fornire una risposta al quesito posto... (segue)
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