Oggi sembrerebbero in «crisi» due capisaldi della cultura giuridica, il principio di legalità e il principio di certezza del diritto: in estrema sintesi, da un canto, la legge avrebbe perso la sua tradizionale centralità; dall’altro canto, oggi dominerebbe l’incertezza delle regole giuridiche. Di questa crisi sarebbe vittima anche il diritto amministrativo. I fattori della crisi sono per lo più comuni ai due principi. Se ne identifica il primo nell’ormai acquisita piena consapevolezza che il principio di legalità e il principio della certezza del diritto hanno, in definitiva, rappresentato gli «arnesi mitologici» di cui ci si sarebbe avvalsi nei secoli (fine) XVIII e XIX per rafforzare il potere politico. A sua volta, l’avvento, nel XX secolo, delle costituzioni (postweimariane) avrebbe determinato l’abbandono della concezione propria dell’età delle codificazioni, tesa a dettare discipline quanto più possibili complete, e l’adesione ad un modo di legiferare per principi, proprio del diritto dell’UE e, soprattutto, del diritto amministrativo. Altro fattore comune viene individuato nel carattere multilevel della governance, che avrebbe risituato la legge all’interno di un sistema di fonti del diritto estremamente articolato e complesso (nel quale sono presenti anche fonti transnazionali, in particolare, europee), e che perciò favorirebbe l’incertezza nell’individuazione delle regole da applicare ai casi concreti. Ulteriore fattore di crisi sarebbe l’acclarata fallibilità della scienza (tra cui anche la sua incapacità predittiva) e della tecnica, con la conseguenza che, in una «società del rischio» quale è la nostra, per un verso, prenderebbero piede forme di soft law, scaturite da una simbiosi tra governo e tecnici, che esautorerebbero gli organi assembleari (in particolare, il Parlamento), e, per l’altro verso, le regole prodotte sarebbero per lo più evasive (se non addirittura scritte male) e comunque provvisorie, destinate ad un continuo rimaneggiamento. A tutto ciò si aggiunge, naturalmente, la crisi della rappresentanza politica. È per queste ragioni, dunque, che la legge si sarebbe ormai ridotta ad una delle tante fonti del diritto e che l’incertezza delle regole sia non più l’eccezione ma la regola. E se questo è lo scenario, a renderlo ancora più sconfortante contribuiscono, forse, anche le tesi che reputano il diritto (scritto), per sua stessa natura, incerto e, pertanto, abbisognevole dell’inevitabile apporto del giudice (e, in generale, dell’interprete), o che, a monte, considerano il linguaggio umano, di per sé, vago... (segue)
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