
La formazione del governo, come noto, non trova una dettagliata procedimentalizzazione all’interno della Carta costituzionale, la quale, ai sensi dell’art. 92 comma 2, prevede sinteticamente che sia il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri. Tuttavia tale procedura, seguendo un “rituale” che combina diverse e scandite fasi (le consultazioni presidenziali, il conferimento dell’incarico, l’accettazione dello stesso con riserva, le consultazioni dell’incaricato, lo scioglimento della riserva, la sottoposizione della lista dei ministri al Capo dello Stato e, infine, l’emanazione dei decreti di nomina), può dirsi ormai ancorata a regole consuetudinarie e convenzionali che nel corso degli anni, pur riproponendosi in modo puntuale e costante, hanno talvolta subito variazioni e conosciuto momenti di discontinuità. Alla luce di ciò, l’obiettivo che ci si propone è quello di ripercorrere alcune tendenze registrate nella prassi concernente l’attribuzione dell’incarico (rivolgendo l’attenzione soprattutto agli anni più recenti), con la finalità di valutare se il ripetersi delle stesse sia eventualmente prospettabile anche in un contesto politico-istituzionale come quello che va prefigurandosi in vista delle elezioni del prossimo 4 marzo. La fase dell’assegnazione dell’incarico, precedente alla nomina formale dell’esecutivo, rappresenta indubbiamente uno dei momenti più problematici dell’iter costitutivo del governo. La stessa viene altresì considerata «la strada obbligata» per concretizzare il disposto dell’art. 92 Cost., nonché «l’espediente che meglio risponde alla logica dei principi costituzionali» concorrenti in questo frangente, volti a garantire l’unità e la necessaria coesistenza delle varie componenti del governo (art. 92, comma 1 Cost.), la continuità dell’organo esecutivo (desumibile dall’art. 93 Cost.) e il conseguimento della fiducia (ex art. 94, comma 1 Cost.). Dopo aver acquisito, mediante le consultazioni presidenziali, precise indicazioni sulla situazione politico-parlamentare, è infatti attraverso il conferimento dell’incarico che il Capo dello Stato «presceglie la personalità che, per le sue attitudini, è ritenuta maggiormente in grado di conseguire la fiducia parlamentare». Per motivi di praticità e per rispettare l’esigenza logica di formare un esecutivo composto, sin dall’inizio, di tutti i suoi elementi (Presidente del Consiglio, Ministri, Consiglio dei Ministri), alcune competenze organizzative sono quindi trasferite al soggetto incaricato (anziché direttamente al Presidente nominato, come farebbe intendere il testo della Costituzione). Proprio l’essenzialità di questo atto rispetto alla nomina (e, più generalmente, rispetto alla formazione del governo) induce parte della dottrina a ritenere che lo stesso rappresenti una consuetudine di particolare rilievo giuridico. In questa accezione quest’ultima assumerebbe un ruolo “sussidiario” rispetto alle norme costituzionali scritte, in modo da permettere loro di raggiungere lo scopo che si prefiggono... (segue)
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