L’entrata in vigore del D.lgs. 97/2016 ha rigenerato il dibattito sul tema della trasparenza amministrativa e, più in particolare, sul rapporto tra principio ed istituti strumentali alla sua attuazione. La riforma, com’è noto, ha introdotto un nuovo “diritto a conoscere” ispirato ai paradigmi della trasparenza e della libertà di informazione, senza intervenire sulle varie forme di accesso già riconosciute dall’ordinamento. Si è realizzata in questo modo una chiara sovrapposizione normativa, la quale ha sin da subito fatto emergere la necessità di definire i vari diritti di accesso presenti nell’ordinamento, considerandone l’effettiva portata in relazione al contesto. Il legislatore ha attribuito alle linee guida ANAC il compito di fornire indicazioni operative sull’applicazione delle esclusioni e dei limiti all’accesso generalizzato. Tuttavia, l’intervento dell’Autorità rischia di complicare ulteriormente il quadro a causa del richiamo all’ordinamento europeo, ed in particolare al Regolamento (CE) 1049/2001 in tema di accesso agli atti detenuti dalle istituzioni europee. In ogni caso, l’allargamento della visuale alla dimensione sovranazionale ha il vantaggio di estendere la riflessione sull’origine del “diritto a conoscere”, e sull’inquadramento dello stesso nel complessivo ordinamento europeo. D’altronde, i confini del nuovo accesso civico generalizzato si definiscono sui limiti contenuti nell’art. 5 bis del riformato D.lgs. 33/2013 (molti dei quali sovrapponibili a quelli previsti dall’art. 4 del Regolamento (CE) 1049/2001), ma anche sui “meccanismo di bilanciamento” che le amministrazioni sono tenute ad applicare ogniqualvolta si presenti la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato alla riservatezza. Bilanciamento che è spesso legato alla tutela di diritti fondamentali riconosciuti dalle fonti sovranazionali e governato da principi di indiscussa origine europea... (segue)
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