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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 Consiglio di Stato, Parere n. 69/2018, in tema di assistenza farmaceutica e legge sulla concorrenza

P. Chirulli, Assistenza farmaceutica e legge sulla concorrenza: la parola al Consiglio di Stato (Cons. Stato, Comm. Spec., Ad. 22 dicembre 2017, Parere 3 gennaio 2018, n. 69/2018)

La l. 4 agosto 2017, n. 124, recante “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, è stata approvata dopo lunga gestazione (il Governo ha presentato il disegno di legge il 3 aprile 2015). Per favorire l’approvazione finale il Governo ha posto la fiducia su un c.d. maxi emendamento, sicché la legge è composta di un solo articolo con numerosi commi. Alcuni di questi (i commi da 157 a 165) riguardano l’assistenza farmaceutica e hanno modificato disposizioni già vigenti.

Anzitutto è da sottolineare che l’inserimento di disposizioni relative all’assistenza farmaceutica nelle “legge concorrenza” non è perfettamente coerente con la vocazione - riconosciuta dalla costante giurisprudenza costituzionale e comune - di servizio pubblico a tutela del diritto alla salute che le farmacie svolgono.

La novità più rilevante riguarda la titolarità delle farmacie: molte delle altre modifiche sono collegate a questa. Di seguito si riassumono le principali innovazioni:

i) l’art. 7, comma 1, l. 8 novembre 1991, n. 362, dopo la novella, consente la titolarità delle farmacie private anche a società di capitali;

ii) la compagine sociale può essere costituita - anche totalmente - da non farmacisti;

iii) viene abrogato il limite di quattro farmacie per società precedentemente vigente: è inserito, tuttavia, un limite molto ampio dall’art. 1, comma 158, della l. n. 124 del 2017 (“I soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362 […] possono controllare, direttamente o indirettamente, ai sensi degli articoli 2359 e seguenti del codice civile, non più del 20 per cento delle farmacie esistenti nel territorio della medesima regione o provincia autonoma”);

iv) gli art. 7, comma 2, e 8, comma 1, della l. n. 362 del 1991, come novellati, stabiliscono le incompatibilità ad assumere la qualifica di socio delle società.

La novella legislativa non brilla certo per chiarezza. Molti, infatti, sono i dubbi interpretativi che gli operatori hanno affrontato subito dopo l’entrata in vigore della l. n. 124 del 2017.

Il Ministero della Salute, per sciogliere alcuni di questi nodi problematici ha formulato alcuni quesiti al Consiglio di Stato:

i)Se, nel prevedere la titolarità dell’esercizio di una farmacia anche in capo alle società di capitali, il legislatore abbia inteso fare riferimento a tutte le tipologie di società di capitali”;

ii)Se i farmacisti risultati vincitori in forma associata al concorso straordinario, possano costituire una società di capitali, ai sensi del novellato articolo 7 della legge n. 362 del 1991”;

iii)Se anche le società di persone possano essere costituite, ai sensi del novellato articolo 7 della legge n. 362 del 1991, da soci non farmacisti”;

iv)Se le incompatibilità di cui all’articolo 7, comma 2, e di cui all’articolo 8, comma 1, della legge n. 362 del 1991, debbano applicarsi a tutti i soci”;

v)Se le incompatibilità di cui all’articolo 7, comma 2, e articolo 8, comma 1, della legge n. 362 del 1991, abbiano portata generale, applicandosi, quindi, sia al concorso ordinario sia al concorso straordinario”.

È stata, così, istituita la Commissione speciale che nell’adunanza 22 dicembre 2017 ha reso il Parere n. 69/2018, depositato in data 3 gennaio 2018, qui in commento.

Nel citato Parere, i Giudici di Palazzo Spada hanno anzitutto manifestato “apprezzamento per la scelta, compiuta dal Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della salute e dell’istruzione dell’università e della ricerca, di percorrere la via del quesito per gestire l’insorgere di conflitti, per lo meno potenziali”, ricordando che, ai sensi dell’art. 100, comma 1, Cost., “Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione”. I Giudici, inoltre, richiamando propri precedenti (v., tra i molti, i pareri n. 515/2016, n. 1458/2017 e n. 2065/2017), hanno sottolineato “che la funzione consultiva non è mai esercitata dall’Istituto nell’interesse dello Stato-Governo né di quello dello Stato-Amministrazione, ma esclusivamente nell’interesse dello Stato-Comunità” e che “la funzione consultiva assolve ad una finalità, di tipo «giustiziale», contribuendo a prevenire i conflitti e a deflazionare il contenzioso giurisdizionale in maniera teleologicamente assimilabile ai metodi di ADR (Alternative dispute resolution)” (parr. 14 sgg.).

Il Consiglio di Stato, prima di affrontare i singoli quesiti, ha preliminarmente ricostruito analiticamente la normativa che compone la peculiare porzione dell’ordinamento che è il diritto delle farmacie (parr. 4 sgg.).

In secondo luogo, ha sottolineato che, nonostante la Commissione Europea abbia “più volte sollevato il problema del contrasto della disciplina italiana con i principi dei trattati UE in termini di libera circolazione di persone, professionisti e capitali, e di libertà di insediamento delle attività economiche e imprenditoriali”, la Corte di Giustizia UE “ha finora ritenuto legittima la normativa italiana”, citandone le pronunce rilevanti (parr. 7 sgg.).

Infine, ha rilevato che alcune delle modifiche apportate dalla novella del 2017 sono state adottate a seguito di specifiche segnalazioni dell’Antitrust, per esempio con riferimento all’abolizione dei vincoli alla multititolarità (par. 12).

Prima di passare alla disamina delle risposte ai singoli quesiti, è interessante segnalare due affermazioni generali molto significative, che confermano ancora una volta la peculiarità del diritto delle farmacie (par. 31).

Anzitutto, il Consiglio di Stato, richiamando la sentenza n. 87 del 2006 della Corte costituzionale, ribadisce il diretto collegamento tra assistenza farmaceutica e tutela del diritto alla salute. Afferma, infatti, che “La collocazione del servizio farmaceutico all’interno del S.S.N. permette che la complessa regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci assicuri e controlli l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali e, in tal senso, garantisce la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando, in quest’ottica, marginale sia il carattere professionale, sia la natura commerciale dell’attività del farmacista”.

In secondo luogo, il Parere esalta la vocazione di servizio pubblico della farmacia, statuendo che “la farmacia è qualificata come luogo a primaria vocazione pubblicistica a tutela della salute. Invero, le farmacie […] integrano un’organizzazione strumentale di cui il Servizio Sanitario (nazionale e, a fortiori, giusta la l.cost. n. 3/2001, quello regionale) si avvale per l’esercizio del compito di servizio pubblico loro assegnato dal legislatore. La distribuzione dei farmaci è una finalità espressa del S.S.N. (art. 2, comma 1, n. 7, legge n. 833 del 1978) e costituisce senz’altro parametro per i livelli essenziali di assistenza (art. 2, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, così come novellato dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229)”.

Con riferimento ai singoli quesiti proposti dal Ministero della Salute, il Consiglio di Stato ha reso le seguenti risposte.

Il primo quesito riguarda la possibilità di costituire qualsiasi tipo di società di capitali.

Al riguardo il Consiglio di Stato ritiene che “la vigente normativa si riferisce, in linea di principio, a tutte le tipologie societarie” (par. 18). Tale conclusione si regge su tre considerazioni:

i) il riferimento normativo è genericamente alle “società di capitali”;

ii) la ratio della riforma del 2017 sarebbe “ravvisabile nella rimozione degli ostacoli regolatori all’apertura dei mercati e nella promozione della concorrenza”, sicché non vi sarebbero ragioni  per limitare le forme societarie;

iii) infine, una considerazione di carattere sistematico, in quanto le farmacie comunali già prima della novella potevano “essere costituite sotto forma di società di capitali” e non sarebbe giustificabile una “disparità di trattamento” tra tipologia di farmacie.

Il secondo quesito riguarda specificamente i partecipanti al concorso straordinario bandito ai sensi dell’art. 11 del d. l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 27 del 2012 (la novella del 2012, com’è noto, ha abbassato il quorum di popolazione necessario e sufficiente per l’istituzione di una sede farmaceutica, portandolo a 3.300 abitanti).

Il Consiglio di Stato (parr. 19 sgg.) anzitutto ricostruisce sommariamente la disciplina peculiare di tale concorso straordinario. In secondo luogo, rileva che il citato art. 11 del d. l. n 1 del 2012 non contiene riferimenti testuali che impediscono la costituzione di società di capitali e che, comunque, le due disposizioni (art. 11 d. l. n. 1 del 2012 e art. 7, comma 1, l. n. 362 del 1991 come novellato) operano “su piani differenti”. Di conseguenza non vi sarebbero ostacoli testuali alla costituzione di qualsivoglia forma di società di capitali per i vincitori del concorso straordinario.

Fatta questa premessa, tuttavia, il Consiglio di Stato rileva che “tale interpretazione, seppur formalmente corretta, potrebbe nella realtà comportare il rischio di elusione delle condizioni normative poste per la gestione associata”. Tra le peculiarità del concorso straordinario, infatti, vi è la possibilità di partecipazione in forma associata, dal che il vincolo della gestione associata su base paritaria per almeno tre anni.

Per tali ragioni il Parere conclude nel senso di “ammettere che i vincitori del concorso straordinario in forma associata possano costituire una società, anche di capitali, ed anche prima della scadenza del triennio, ma che ad essa non possano partecipare, prima della conclusione del vincolo, soggetti diversi da essi, neppure farmacisti non vincitori e non farmacisti”.

Inoltre “il rispetto del vincolo della gestione paritaria impone che l’organizzazione interna garantisca ai vincitori la piena parità di poteri di gestione e di amministrazione”, dal che “la necessità di prediligere modelli che, nella loro configurazione tipica, garantiscano il rispetto dei citati vincoli di legge, rappresentati in particolare dalla garanzia del mantenimento della gestione su base paritaria”.

Il Consiglio di Stato, peraltro, conclude proponendo anche la propria preferenza per un tipo di società di capitali. Anzitutto, esclude la s.a.p.a., in quanto non prevista per le società titolari di farmacie comunali, prediligendo le s.p.a. e le s.r.l. Tuttavia, afferma che “appare preferibile la seconda in quanto questa, per la sua disciplina tipica, garantisce maggiormente il rispetto della gestione paritaria”.

Con riferimento al terzo quesito, la risposta del Consiglio di Stato è netta e concisa (parr. 33 sgg.), in quanto a suo giudizio “Dall’analisi del dettato normativo non sembrano esservi dubbi in merito alla possibilità di partecipazione alle società di persone anche da parte di soggetti non farmacisti”. Il Parere avverte, tuttavia, che tale interpretazione presuppone “il rispetto di una netta separazione tra la direzione della farmacia, che per legge deve ora essere attribuita ad un farmacista (anche non socio), e la gestione economica della stessa, che può spettare anche ad una società in quanto titolare”.

Il quarto quesito riguarda uno degli aspetti più delicati della novella legislativa, quello dell’estensione delle incompatibilità stabilite dagli artt. 7, comma 2, e 8, comma 1, della l. n. 362 del 1991, come modificati dalla l. n. 124 del 2017.

Giova riportare le disposizioni richiamate.

L’art. 7, comma 2, stabilisce, al secondo e terzo periodo, che “La partecipazione alle società di cui al comma 1 è incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica. Alle società di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 8”.

L’art. 8, comma 1, dispone che “La partecipazione alle società di cui all’articolo 7 […] è incompatibile:

a) nei casi di cui all’articolo 7, comma 2, secondo periodo;

b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia;

c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”.

Il quesito ministeriale è articolato in tre sotto-quesiti (cfr. par. 1.4 del Parere):

i)con riferimento alle incompatibilità di cui all’articolo 7, comma 2, secondo periodo, si chiede se, tenuto conto che la disposizione si riferisce espressamente all’ ″esercizio della professione medica″, si possa ritenere che, come sostenuto dal Ministero stesso, essa si riferisca solo all’effettivo svolgimento dell’attività medica e non anche alla mera iscrizione all’albo”;

ii)In relazione […] alla incompatibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lettera b), si chiede se l’applicazione della disposizione, come ritenuto dal Ministero della salute, possa essere limitata unicamente ai casi in cui la partecipazione alle società di farmacia comporti, da parte del titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia, lo svolgimento di analogo ruolo in seno alla farmacia ″sociale″ o comunque di un ruolo idoneo ad incidere sulle decisioni della società (es. amministratore); non anche, quindi, ai casi in cui la partecipazione si sostanzi in un mero versamento di capitale, senza che il socio, di fatto, acquisisca alcun ruolo decisionale nell’ambito della società”;

iii) con riferimento all’incompatibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), “si chiede se, la locuzione «rapporto di lavoro», come ipotizzato dal Ministero, possa, sulla base di una interpretazione restrittiva, essere ricondotta al solo rapporto di lavoro subordinato e non ad altre tipologie di lavoro o di attività”; in relazione alla medesima forma di incompatibilità, si chiede “se essa debba trovare applicazione anche ai soci di capitale”.

Con riferimento al primo sotto-quesito (par. 40), il Consiglio di Stato “ritiene preferibile, nonché più facilmente attuabile, la soluzione che amplia l’ambito di applicazione della detta incompatibilità a qualunque medico, sia che eserciti la professione sia che non eserciti e sia solo iscritto all’albo professionale”. Ciò per attuare al massimo la ratio  della norma, che mira a “prevenire il verificarsi di eventuali conflitti di interessi tra l’attività di erogazione delle prestazioni farmaceutiche, tipica del farmacista, e l’attività di prescrizione di farmaci, tipica del medico”.

Un aspetto molto rilevante, tuttavia, non viene preso in considerazione dal Parere. Com’è noto, l’ordinamento prevede che l’esercizio di attività sanitarie possa essere svolto anche da Società (cfr. art. 8-ter, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 502 del 1992). Ebbene, non è chiaro se valga anche per tali Società l’incompatibilità alla qualità di socio di Società titolare di farmacia. Per la negativa milita un’interpretazione restrittiva della lettera della legge: “esercizio della professione medica” sembrerebbe circoscrivere il divieto di cumulo ai singoli professionisti che svolgono tale professione sanitaria. Tuttavia, per l’estensione dell’incompatibilità milita, tra l’altro, la ratio della disposizione in parola, che - come rilevato dal Consiglio di Stato - è quella di evitare commistioni tra i soggetti che a vario titolo possono prescrivere farmaci e la farmacia, deputata alla loro dispensazione.

Con riferimento al secondo sotto-quesito, il Parere (par. 41) afferma che “l’incompatibilità di cui al citato art. 8, comma 1, lett. b) da parte del titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia deve essere estesa a qualsiasi forma di partecipazione alle società di farmacia, senza alcuna limitazione o esclusione”.

A giudizio del Consiglio di Stato, anzitutto, la diversa tesi prospettata dal Ministero “appare confliggere con la lettera della norma che, al riguardo, non pone alcuna forma di distinzione”.

In secondo luogo, “l’opzione restrittiva mal si concilia con la duplice ratio della norma di evitare che i soggetti titolari, gestori provvisori, direttori o collaboratori di una farmacia, da un lato, contraggano vincoli che impediscano loro un adeguato svolgimento delle prestazioni lavorative in favore della farmacia presso la quale operano, dall’altro, che svolgano analogo ruolo nell’ambito di una farmacia «sociale», con l’emersione di eventuali conflitti di interesse”.

Infine, il Parere richiama la sent. n. 275 del 2003 della Corte costituzionale e afferma che “quello della incompatibilità con qualunque altra attività nel settore della produzione distribuzione, intermediazione del farmaco - c.d. filiera del farmaco - è «un principio generale applicabile a tutti i soggetti che, in forma singola o associata, siano titolari o gestori di farmacie»”.

È necessario sottolineare che il Consiglio di Stato, con riferimento all’ipotesi della partecipazione sociale alla società di farmacia da parte di altra società di farmacia “non ravvisa ostacoli alla applicabilità anche ad essa, nei termini anzidetti, della forma di incompatibilità in esame (art. 8, c. 1, lett. b)” (par. 41.6).

Questo è un punto molto delicato della questione e avrebbe meritato maggiore approfondimento da parte della Commissione speciale. La conclusione cui giunge il Parere è condivisibile: in caso contrario, infatti, si creerebbe una discriminazione tra soci persone fisiche e soci che sono a loro volta delle Società. Tuttavia, vi è un ostacolo di non poco conto a tale conclusione, non adeguatamente affrontato dal Parere. L’art. 1, comma 158, della l. n. 124 del 2017, stabilisce che “I soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362 […] possono controllare, direttamente o indirettamente, ai sensi degli articoli 2359 e seguenti del codice civile, non più del 20 per cento delle farmacie esistenti nel territorio della medesima regione o provincia autonoma”. Il riferimento al controllo indiretto, unitamente al limite di concentrazione, sembra prefigurare la possibilità che una società titolare sia socia di altre società. Del resto non è un mistero che vi sono multinazionali che ambiscono a rilevare la titolarità di diverse farmacie, creando delle “catene farmaceutiche” come avviene in altri Paesi.

Questo nodo, dunque, non può dirsi sciolto dal Parere qui in commento. Sarà necessario, da un lato, un ulteriore sforzo interpretativo da parte dei soggetti interessati e, dall’altro, l’intervento del legislatore o, più probabilmente, del giudice amministrativo per definire la reale portata della novella legislativa.

Con riferimento, infine, all’incompatibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), il Consiglio di Stato “dubita che la locuzione «rapporto di lavoro» possa essere ricondotta al solo rapporto di lavoro subordinato”.

Il Parere, anzitutto, ritiene - correttamente - che “La diversa opzione ermeneutica, prospetta dal Ministero, in primo luogo, darebbe adito a dubbi di legittimità costituzionale, considerata la ingiustificata disparità di trattamento che subirebbe il lavoratore subordinato rispetto a quello autonomo”.

In secondo luogo, viene richiamata la ratio della norma in questione che consisterebbe “nell’intento di evitare che il socio possa contrarre vincoli che impediscano un adeguato svolgimento delle prestazioni lavorative a favore della società e/o della farmacia sociale, quand’anche non vi sia tenuto dallo statuto o dagli incarichi assunti”, richiamando anche il tutt’ora vigente art. 119 del r. d. n. 1265 del 1934.

Il Consiglio di Stato, peraltro, propone di superare il criterio distintivo basato sulla differenza tra lavoratore dipendente/lavoratore autonomo, preferendo “quello volto ad esaltare il carattere continuativo o meno del rapporto lavorativo intessuto dal socio con altro datore di lavoro o committente”. Ne consegue che “Nel raggio d’azione dell’incompatibilità in esame, quindi, oltre ai rapporti di lavoro subordinato, che già nei loro caratteri essenziali presentano quelli della continuità, rientreranno anche quelle prestazioni che, sebbene autonome, vengono effettuate con una regolarità tale da risultare assorbenti”.

Quest’ultima affermazione, in realtà, è poco chiara. Ad esempio non si comprende se la continuità è nei rapporti con una (o più) farmacia. Come pure non si capisce se il professionista che - in ipotesi - abbia in una certa fase rapporti “regolari” con alcune farmacie debba obbligatoriamente dismettere le partecipazioni in una Società titolare di farmacia.

Il punto davvero delicato di questa questione, tuttavia, è quello della concreta attuazione della legge (anche per come interpretata dal Consiglio di Stato). Se non possono essere soci di Società titolare di farmacia i lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi, i farmacisti titolari o soci di altra farmacia…non è chiaro a quali categorie debbano appartenere i soggetti che aspirino a diventare soci di tali Società (forse solo disoccupati e studenti).

In realtà, le incompatibilità di cui alle lett. b) e c) del comma 1 dell’art. 8 - che, è bene ricordarlo, sono rimaste identiche rispetto alla formulazione precedente - non sembrano più adeguate all’ingresso delle società di capitali tra i titolari di farmacia. In precedenza queste incompatibilità avevano un senso, in quanto i soci delle società (di persone) titolari di farmacia dovevano essere tutti farmacisti iscritti all’Albo: la qualifica di socio, dunque, era legata alla propria professione (di farmacista). Oggi, che l’essere socio di società (di capitali) non ha più nulla a che vedere con la propria professione ed è dettato da scelte di investimento, sarebbe stato necessario rimodulare il regime delle incompatibilità. La sensazione è che mentre per le persone fisiche è stato mantenuto un regime stringente i incompatibilità, ciò non valga per le Società di capitali, le quali assumendo il ruolo di holding, potranno essere a loro volta socie di numerose Società titolari di farmacia.

Con riferimento al quinto quesito, il Consiglio di Stato si limita ad affermare che non vi sono “motivi per escludere l’applicazione del regime di incompatibilità alle società di farmacisti vincitori di concorso straordinario”, in quanto “le disposizioni richiamate non distinguono tra farmacie acquisite a seguito di concorso ordinario e farmacie acquisite con concorso straordinario”.



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