Più volte la Corte Costituzionale, in tempi ravvicinati, si è ritrovata a dover svolgere alcune interessanti riflessioni sul tema e, quindi, ad interpretare le disposizioni che legittimano la Corte dei conti a sollevare, in via incidentale, questioni di legittimità costituzionale in occasione del giudizio di parificazione dei Rendiconti generali delle Regioni. Proponendo una lettura in sequenza temporale di alcune di esse, si ha la possibilità di individuare, al contempo, il percorso di faticosa omogeneizzazione che il Legislatore nazionale ha dovuto intraprendere a ridosso della “legge La Loggia”, nel 2003, provvedimento normativo che ha assicurato operatività, dopo due anni di discussione politica (e anche dottrinale), alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. È con la disposizione abrogativa – art. 9 – degli articoli del testo originario del 1948 che si riscopre – nella giusta estensione possibile, ma non totale – il ruolo che la Corte dei conti è chiamata ad assumere nel nuovo contesto ordinamentale, contrassegnato dalla perdita di un sistema dei controlli (artt. 125 e 130 Cost.) ritenuto dalla dottrina di allora inefficiente e incapace di fornire al Popolo l’effettiva situazione finanziaria del sistema delle Autonomie territoriali. Ma già qualche tempo prima (sent. n. 29/95) – a seguito della entrata in vigore della legge n. 20 del 1994 – le Autonomie territoriali (regionali e, tramite esse, quelle locali) si erano dimostrate tutte concordi nell’impugnare la legge in questione sulla base di un semplice, troppo elementare assunto: che non poteva essere esercitato su di esse un controllo (quello “sulla gestione”) fondato su parametri diversi dalla semplice legittimità-regolarità (o conformità alla legislazione vigente in materia di contabilità pubblica), stante il richiamo alla sola legittimità prevista dalle indicate disposizioni della Costituzione (artt. 125 e 130, appunto)... (segue)
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