Il sistema museale italiano aveva voltato pagina grazie all’importante cambiamento dell’organizzazione amministrativa sancito dal cd. “decreto musei” (decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo o “Mibact” del 23 dicembre 2014) ed al significativo investimento sulla valorizzazione che ne era conseguito. Un sistema museale fatto di 20 musei dotati di maggiore autonomia - finora grandemente limitati nelle loro potenzialità - e di una rete di 17 poli regionali, concepito per favorire il dialogo continuo fra le diverse realtà museali pubbliche e private del territorio; e dar vita ad un’offerta integrata al pubblico, rafforzando, in particolare, le politiche di tutela e di valorizzazione del nostro patrimonio al fine di promuoverne la pubblica fruizione. In attuazione di tale disegno, già nei primi mesi del 2015 la direzione dei musei dotati di autonomia speciale è stata affidata, con un bando internazionale, a massimi esperti in materia di gestione museale, selezionati da parte di una commissione composta da membri di chiara fama ed elevato livello scientifico. Sennonché, con una intricata vicenda giudiziaria, culminata con la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio del 24 maggio 2017, n. 6171, tutto sembra(va?) essere svanito nel nulla: il giudice capitolino, infatti, in accoglimento di una delle censure mosse avverso la procedura concorsuale finalizzata alla selezione del direttore di un istituto museale italiano (cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea: anche “UE” o “U.E.”) - ha ravvisato la violazione indiretta del’art. 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (cd. Testo Unico sul pubblico impiego o “T.U.P.I.”) secondo il quale soltanto “i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea (…) possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale”, dichiarando conseguentemente l’illegittimità della nomina di un soggetto privo della cittadinanza italiana a ricoprire questo tipo di incarico finalizzato all’esercizio di poteri amministrativi autoritativi, in applicazione della normativa europea e nazionale vigente”. In particolare, per quel che ai fini della presente analisi rileva, il giudice amministrativo ha evidenziato che il bando della selezione oggetto del contenzioso non poteva prevedere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani, in quanto nessuna norma derogatoria consentiva al Mibact di reclutare dirigenti pubblici al di fuori delle indicazioni tassative espresse dall’art. 38 del d. lgs. 165/2001. Un esito interpretativo che ha lasciato perplessa una moltitudine di soggetti di varia formazione e che, addirittura, ha fatto gridare allo scandalo i rappresentanti politici che avevano illo tempore corroborato la decisione dell’amministrazione di operare in breccia a tale divieto, mostrando un sentimento forte in favore dell’apertura dei ranghi dirigenziali delle aree “culturali” agli ordinamenti europeo ed internazionale… (segue)
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