L’articolarsi della multilevel governance dell’Unione europea, declinata nella sua prospettiva verticale inerente i rapporti che intercorrono fra il livello sovranazionale e la dimensione decentrata, presenta rilevanti profili di interesse in relazione a molteplici ambiti, quali, solo per fare alcuni esempi, quello relativo al sistema delle fonti del diritto - considerando tanto la fase di produzione normativa, quanto l’incidenza delle fonti europee sugli ordinamenti nazionali e, più in particolare, sulle autonomie territoriali – o quello relativo alla vera e propria governance europea. Come è noto, l’evolversi dell’ordinamento comunitario, prima, ed europeo, poi, ha visto coinvolti anche gli enti territoriali degli Stati membri. In relazione alla partecipazione delle regioni al processo europeo di produzione normativa, così come alla fase inerente la sua attuazione, si può osservare che per lungo tempo c’è stato un loro scarso (quando non scarsissimo) coinvolgimento nei percorsi politico-decisionali europei.A tal proposito la dottrina ha coniato l’espressione “Landesblindheit” o “regional blindness” delle Comunità europee riconoscendo, al contempo, come essa derivasse dalla loro originaria natura di organizzazioni internazionali. Pare opportuno, inoltre, ricordare come, alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, anche a livello nazionale i vari Stati membri non riconoscessero ampi margini di autonomia ai propri enti territoriali. Fra gli Stati membri delle neonate Comunità Europee solo la Germania era uno Stato federale, mentre il regionalismo italiano restava ad una forma embrionale, meramente riconosciuto in Costituzione e largamente inoperante. Gli altri Stati fondatori delle Comunità Europee (Belgio, Olanda, Francia e Lussemburgo) mantenevano la struttura di Stati unitari con una articolazione delle funzioni legislative di tipo accentrato, sebbene fossero presenti enti territoriali dotati di forme diversificate di autonomia. Il successivo progressivo sviluppo dell’ordinamento comunitario pare essersi evoluto in parallelo, ed in certa misura condizionando, la produzione normativa e le riforme degli Stati membri. Peraltro, il successo di slogan quali “l’Europa delle Regioni”, si deve non solo alla progressiva valorizzazione delle autonomie territoriali negli Stati membri, ma anche alla più generale crisi dello stato nazionale, che ha spinto a «considerare le regioni come una forma supplementare di risorsa di legittimazione, nella prospettiva della fondazione di una identità europea non limitata agli stati …». Si è, così, palesata la necessità di approvare riforme tese a favorire processi di decentramento che riconoscessero ambiti di competenza via via maggiori agli enti territoriali, nella consapevolezza che essi, in quanto enti più prossimi ai cittadini rispetto alle istituzioni europee ed agli stessi Stati, possono essere in grado di captare meglio le realtà del tessuto socio-economico locale sulle quali le azioni e le politiche europee sono destinate ad impattare. Ed infatti già a partire dagli anni settanta del secolo scorso il regionalismo italiano passò da una forma embrionale a strutture via via più complesse e, similmente, in Belgio furono introdotte varie riforme normative tese a valorizzare le istanze territoriali… (segue)
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