Il problema della rappresentanza territoriale nei processi decisionali centrali negli ordinamenti policentrici è problema di diritto costituzionale classico che risalentemente – e continuamente – affligge (e avvince) gli studiosi del regionalismo e del federalismo. Si tratta, più precisamente, di studiare i profili attinenti alla rappresentazione degli interessi provenienti dal territorio in un tipo di decision making process incentrato sulla ponderazione preminente degli interessi allocabili a livello nazionale. Quello presentato è fra i più rilevanti problemi che lo studioso deve fronteggiare nell’indagare teorie e prassi degli ordinamenti costituzionali policentrici. L’essenza stessa della territorial Constitution di tali ordinamenti consiste, infatti, nel rapporto fra principio unitario e principio di autonomia cui fanno rispettivamente fronte le esigenze di uniformità della disciplina normativa e degli interventi amministrativi sull’intero territorio nazionale e quelle di differenziazione derivanti dai bisogni di valorizzazione delle peculiarità territoriali. A tale problema l’ingegneria costituzionale ha tradizionalmente fornito, ad uno sguardo comparato, la classica soluzione del Senato federale, astrattamente in grado di affiancare alla rappresentanza politica delineata sull’arco del sistema partitico nazionale quella territoriale ricollegata agli enti sub-statali, tali ultimi introdotti, per tramite della loro camera, negli organi e nei procedimenti legislativi centrali. La detta soluzione ha assai spesso affascinato ampie fronde della dottrina e dell’arco partitico italiani tanto da essere veicolata in due distinti tentativi di riforma, per così dire, globale della Costituzione, entrambi, però, naufragati nelle urne referendarie. Anzi, la bocciatura popolare del disegno di revisione costituzionale cd. Renzi Boschi – contenente il più recente di tali tentativi – non può che imporre agli studiosi del regionalismo, oltreché, auspicabilmente, ai partiti, di svolgere riflessioni foriere di soluzioni a Costituzione invariata o che, quanto meno, adottino l’esistente come oggetto di privilegiato interesse ovvero, ancora in subordine, che assumano l’indagine de iure condito come irrinunciabile punto di partenza di una riflessione che porti, se del caso, alla formulazione di ipotesi di riforma. Di qui la necessità di guardare alla Conferenza Stato-Regioni, oltretutto qualificata dalla Corte costituzionale come la «sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le Regioni» atta a «favorire il raccordo e la collaborazione fra l’uno e le altre». Non è, invero, solo l’assenza di un Senato delle Regioni nel nostro ordinamento costituzionale a determinare l’interesse scientifico da tributarsi alla Conferenza, anche perché il dato comparato insegna la non alternatività fra Senato federale e conferenza inter-governativa. Tuttavia, la Conferenza – quale organo di raccordo inter-governativo – sembra vincere una fra le principali criticità che affliggono l’istituto camera delle regioni - il cd. paradosso di Madison - consistente, com’è noto, nella inevitabile spinta verso la nazionalizzazione del ramo parlamentare (in astratto) di rappresentanza territoriale. Accortamente si è notato in dottrina, all’esito di un’osservazione empirica dello svolgimento dei rapporti politico-istituzionali in seno alla Conferenza Stato-Regioni, che i capi degli esecutivi regionali tendono a sottrarsi alle logiche partitiche nazionali, articolate lungo il tradizionale asse (coalizione di) governo-opposizioni, sfuggendo, per questa via, alla disciplina di partito nazionale, sì che lo spirito di appartenenza ad un sistema regionale comune prevalga sulla disciplina di partito. Scopo del presente contributo non è quello di fornire una descrizione dettagliata della Conferenza per tramite di un’analisi dei suoi svariati aspetti d’interesse, dalla struttura al funzionamento, dagli atti ivi conclusi alla molteplicità di funzioni e competenze disimpegnate. A ciò, del resto, si è già autorevolmente provveduto. Ci si propone, invece, di focalizzare l’attenzione solo su taluni di tali aspetti e, in particolare, sul tasso di intensità di formalismo giuridico che connota la Conferenza relativamente alle fonti che ne recano la disciplina, tanto strutturale che funzionale. In particolare, si individueranno nel mancato fondamento costituzionale, da un lato, e nell’eccessivo ricorso (non solo) quantitativo alla fonte primaria, dall’altro, le due principali criticità che affliggono l’organo oggetto di analisi. Si sottolineeranno, dunque, gli effetti di tali fattori sul più ampio contesto dell’assetto delle relazioni Stato-Regioni tentando, infine, di tracciare considerazioni critiche attinenti all’equilibrio complessivo della forma di governo e individuare ipotesi risolutorie… (segue)
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