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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 Consiglio di Stato, Sentenza n. 7045/2021, È legittimo l’obbligo vaccinale imposto agli operatori sanitari dall’art. 4. d.l. 44/2021

È legittimo l’obbligo vaccinale imposto agli operatori sanitari dall’art. 4. d.l. 44/2021

Consiglio di Stato, sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045

Pres. F. Frattini - Est. M. Noccelli – Omissis (avv. D. Granara) - c. Omissis (avv.ti E.Cardinali e V. Colò); Omissis (avv.ti G. Barzazi e A. Manzi)

Efficacia e sicurezza profilassi vaccinale – Va affermata – Operatività principio precauzionale in ambito sanitario – Rapporto rischi e benefici – Dovere del legislatore di tutelare la salute pubblica – Va affermato.

Art. 4 d.l. 44/2021 – Obbligo vaccinale per il personale sanitario – Va affermato – Ratio della disciplina – Principio personalista – Principio di solidarietà – Dovere di cura in senso ampio – Va affermato.

Obbligo vaccinale in caso di immunità naturale – Legittimo.

Violazione art. 8 CEDU – infondata – legittimità vaccinazioni obbligatorie – Va affermata.

Violazione art. 32 Cost. – Diritto all’autodeterminazione – Infondata.

Violazione art. 3 Cost. – Infondata.

Violazione art. 2 e 32 Cost. – Mancata previsione indennizzo – Infondata.

Violazione art. 9 e 33 Cost – Infondata.

Violazione artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 36 Cost. – Infondata.

Il Collegio premette, anzitutto, che le censure degli appellanti sono fondate su due presupposti: il primo di ordine scientifico e il secondo di ordine giuridico, entrambi errati. Secondo gli appellanti, infatti, il breve tempo che le case farmaceutiche hanno avuto a disposizione per la predisposizione e la sperimentazione delle soluzioni vaccinali non ha consentito di raggiungere quelle condizioni di sicurezza ed efficacia necessarie per imporre qualunque trattamento ai sensi dell’art. 32, secondo comma, Cost. L’assoluta carenza di certezza in ordine alle garanzie di efficacia e sicurezza delle soluzioni vaccinali sarebbe poi dimostrata dal fatto che la loro immissione in commercio è stata autorizzata dall’EMA mediante il rilascio di autorizzazioni condizionate.

In merito all’erroneità del presupposto scientifico il Collegio ricorda che la CMA (Conditional marketing authorisation) – prevista dall’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione UE – non è una “scorciatoia incerta” escogitata per affrontare la pandemia in corso ma una procedura di carattere generale applicata anche al di fuori dell’attuale situazione emergenziale, specificamente concepita per consentire una autorizzazione il più rapidamente possibile, non appena siano disponibili dati sufficienti, attraverso, unicamente, una parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione clinica, che nella procedura ordinaria sono sequenziali(c.d. “partial overlap”). Il carattere “condizionato” della procedura non incide in alcun modo sulla sicurezza del farmaco (che viene immesso in commercio, comunque, nel rispetto dei rigorosi criteri Ue di sicurezza, efficacia e qualità) né comporta che la stessa debba essere considerata un minus dal punto di vista del valore giuridico, poichè «impone unicamente al titolare di completare gli studi in corso o a condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischio/beneficio è favorevole».

Vieppiù che gli studi condotti sino ad oggi hanno dimostrato che le terapie vaccinali – ormai regolarmente approvate – sono inoculate secondo un rapporto rischio/beneficio ormai non dissimile dalle vaccinazioni “tradizionali”.

In merito poi al presupposto giuridico, secondo il Collegio, il legislatore, nulla potendo contro il c.d. ignoto irriducibile, ha “il dovere di promuovere e, se necessario, imporre la somministrazione dell’unica terapia – quella profilattica – in grado di

prevenire la malattia o, quantomeno, di scongiurarne i sintomi più gravi e di arrestare o limitarne fortemente il contagio”.

In una fase emergenziale di fronte al bisogno indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il

principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi, assicurino più benefici che rischi, “in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco”.

 

La vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il principio di solidarietà, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili. Nel dovere di cura, che incombe sul personale sanitario, rientra anche il dovere di tutelare il paziente, che ha fiducia nella sicurezza non solo della cura, ma anche nella sicurezza di chi cura e del luogo in cui si cura, e questo essenziale obbligo di protezione di sé e dell’altro non può lasciare il passo a visioni individualistiche ed egoistiche, non giustificate in nessun modo sul piano scientifico.

 

Il Collegio afferma poi anche la legittimità dell’obbligo vaccinale imposto anche a coloro che hanno già contratto il virus e acquisito la c.d. immunità naturale, in quanto il comma 2 dell’art. 4 del d.l 44/2021, consente che la somministrazione del vaccino sia posticipata, senza essere omessa, sin quando dal test sierologico non sia emerso che il titolo anticorpale si sia ridotto e sia, così, rientrato nei livelli fisiologici che rendono necessaria la somministrazione – monodose – del vaccino.

 

In merito alle censure relative alla violazioni del CEDU, il Collegio afferma che “non corrisponde dunque al vero la tesi, sostenuta dagli appellanti, che il diritto convenzionale ritenga le vaccinazioni obbligatorie una inammissibile intromissione nel diritto al rispetto della sfera privata e familiare, in violazione dell’art. 8 della Convenzione, poiché anche la più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in armonia con l’orientamento assunto, del resto, dalle Corti costituzionali nazionali, ammette la legittimità delle vaccinazioni obbligatorie secondo principî e criterî, non dissimili da quelli seguiti dalla Corte costituzionale italiana nella propria giurisprudenza, che possono trovare applicazione anche alla vaccinazione qui contestata, che soddisfa tutti i requisiti, rigorosi, richiesti dal diritto convenzionale per giustificare l’intromissione pubblica nella sfera privata e familiare”

 

Secondo il Collegio poi la tesi degli appellanti – secondo cui la vaccinazione in questione sarebbe stata imposta in violazione dell’art.32 Cost. – sarebbe, anzitutto, fondata su un presupposto scientifico errato, secondo cui le vaccinazioni non sarebbero efficaci e sicure, e peccherebbe poi anche di astrattezza poiché nessun farmaco  è “a rischio zero” e “i risultati della sperimentazione clinica condotta in tempi rapidi da numerosi ricercatori, con uno sforzo a livello globale senza precedenti, hanno portato alla conclusione, unanimemente condivisa dalla comunità scientifica internazionale, che il rapporto tra rischi e benefici è largamente favorevole per i soggetti che si sottopongono a vaccinazione”.

 

È infondata anche la presunta violazione dell’art. 3 Cost sotto i profili della ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza in quanto, sotto il profilo della ragionevolezza, i vaccini risultano ad oggi essere sicuri ed efficaci e rispondono allo scopo del legislatore di ridurre la diffusione del contagio e tutelare le persone più esposte al rischio di infezione; sotto il profilo della proporzionalità risulta che solo lo strumento della vaccinazione stia riducendo la diffusione del contagio. In merito alla presunta natura discriminatoria di tale obbligo vaccinale, secondo il Collegio, il carattere selettivo della stessa è giustificato sia in forza del principio di solidarietà, sia in forza della richiamata relazione di cura e fiducia che sussiste tra il paziente e il personale sanitario.

 

In merito alla necessità – secondo gli appellanti – di prevedere un indennizzo nel caso in cui dalla somministrazione, dovesse derivare un pregiudizio grave e/o permanente per l’integrità fisica del soggetto al quale il vaccino è inoculato, il Collegio afferma l’infondatezza della censura, dal momento che tale possibilità è già prevista, per le vaccinazioni obbligatorie, dall’ art. 1 della l. 210/1992.

 

È risultata infondata anche la censura inerente alla presunta violazione degli artt. 9 e 33 Cost. realizzatasi, secondo gli appellanti in quanto l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 li obbligherebbe ad accettare la vaccinazione, quando essi potrebbero e vorrebbero prediligere misure alternative idonee al raggiungimento della finalità perseguita, nonostante essi stessi siano tutti soggetti legati all’ambiente sanitario, in grado di manifestare dissensi informati.

Per quanto riguarda la violazione dell’art. 33 Cost. il Collegio rileva che: “non si vede come l’obbligo vaccinale imposto dal legislatore possa ledere tale valore costituzionale, posto che anzi i vaccini sono stati il frutto di una approfondita e libera ricerca scientifica, peraltro avviata già da anni in riferimento ad altri tipi di virus, e sono stati autorizzati all’esito di una procedura che ha visto il rispetto dei più rigorosi standard scientifici”. Il legislatore non solo non avrebbe violato la c.d. riserva di scienza “ma ha anzi adottato e imposto, almeno al personale sanitario, i risultati incoraggianti di questa ricerca a tutela della salute pubblica”. Sottolinea poi il Collegio che deve essere la scienza ad indicare al legislatore, ma anche all’individuo le opzioni terapeutiche valide che questi può scegliere e “non è certo l’individuo, ancorché dotato di proprie personali competenze e di un sapere asseritamente superiore, a forgiarsi una cura da indicare alla scienza e al legislatore, costruendosi una cura “parallela”, “propria”, “privata”, non controllabile da alcuno e non verificabile in base ad alcun criterio scientifico di validazione”:

 

Secondo gli appellanti la normativa in questione, prevedendo la sospensione dalla professione come conseguenza dell’inadempimento, violerebbe poi anche il principio lavoristico di cui all’art. 1 Cost. Secondo il Collegio, invece, la previsione di cui all’art. 4 del d.l. 44/2021, risponde non solo ad un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, ma anche al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività (art. 32 Cost.). Un simile interesse è sicuramente prevalente, nelle attuali condizioni epidemiologiche, sul diritto al lavoro, di cui all’art. 36 Cost., e d’altro canto il legislatore, seguendo un criterio di gradualità, ha stabilito sanzioni proporzionate all’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni dal momento che, secondo il comma 8, il datore di lavoro deve, ove possibile, adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni anche inferiori che non implicano rischi di diffusione del contagio.

 

A.C.



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