
L’interesse economico volto a assicurare un mercato interno fondato sulla libera circolazione e ad attrarre investimenti esteri, anche da paesi esterni all’Unione europea, trova un necessario contemperamento con l’interesse a garantire la compatibilità di tali investimenti (e più in generale dei movimenti di capitali) con alcuni rilevanti interessi nazionali, in primis, quello relativo alla sicurezza e all’ordine pubblico. A tale esigenza risponde la disciplina in materia di esercizio dei poteri speciali (c.d. golden power), contenuta nel decreto legge n. 21 del 2012, la quale consente, in presenza di taluni specifici presupposti, di sottoporre ad un potere di veto o di imposizione di specifiche prescrizioni le operazioni che sono in grado di minacciare interessi essenziali dello Stato, così salvaguardando gli assetti proprietari delle società attive in settori strategici per l’economia nazionali da possibili scalate ostili. Si ricorda che tale normativa ha sostituito il potere di intervento del governo contenuto nella disciplina della c.d. golden share (d.l. 31 maggio 1994 n. 332), censurata in sede europea, in ragione del fatto che i criteri di esercizio dei poteri speciali – allora collegati alla partecipazione statale in alcune imprese controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi – non erano individuati in maniera tale da consentire agli investitori una piena conoscenza delle situazioni in cui detti poteri potevano venire utilizzati.Le censure alla precedente normativa italiana formulate dalla Corte di Giustizia conservano attualità (anche quale criterio interpretativo della nuova disciplina) ed evidenziano l’importanza del pieno rispetto del principio di proporzionalità e dell’adeguato bilanciamento tra esigenze di tutela delle libertà fondamentali sancite nei Trattati europei e di protezione degli interessi fondamentali di un singolo stato membro. In particolare, le censure della Commissione – confermate dalla Corte di Giustizia – stigmatizzavano l’ampio potere discrezionale di cui disponevano le autorità italiane, che in ultima analisi, avevano l’effetto di scoraggiare gli investitori, particolarmente quelli che intendono stabilirsi in Italia al fine di esercitare un’influenza sulla gestione delle imprese interessate dalla normativa sui poteri speciali… (segue)
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