
In occasione dei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025, gli elettori fuori sede per motivi di lavoro, di studio e cure mediche potranno votare senza spostarsi dal luogo di temporaneo domicilio. È questa probabilmente la più importante novità che interesserà il prossimo appuntamento referendario, in linea di continuità con la prima sperimentazione del voto fuori sede nella storia del nostro Paese, tenutasi in occasione delle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, dell’8 e 9 giugno 2024.
Il primo meccanismo sperimentale per consentire il voto fuori sede trovava la sua base normativa nell’art. 1-ter del decreto-legge n. 7 del 2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2024. Come è possibile evincere dalla numerazione dell’articolo, esso non era presente nell’impianto originario del decreto-elezioni, ma venne aggiunto mediante l’approvazione di un emendamento nel corso dell’esame al Senato della Repubblica. Nonostante tale disciplina fosse rivolta ai soli studenti fuori sede (domiciliati, per un periodo di almeno tre mesi, in una città di una regione diversa da quella del comune di residenza), essa ha rappresentato un’importante novità sul piano del diritto elettorale.
Considerando che per le elezioni europee il territorio nazionale è diviso in cinque circoscrizioni elettorali, ognuna delle quali elegge un dato numero di eurodeputati, il legislatore aveva opportunamente scelto uno strumento per garantire a pieno il rispetto del principio di rappresentanza territoriale. In particolare, per l’individuazione del luogo di esercizio del diritto di voto veniva operata una differenziazione sulla base del comune di residenza dell’elettore fuori sede, prevedendo due distinte modalità: a) se il comune di temporaneo domicilio fosse stato ubicato nella medesima circoscrizione del comune di iscrizione nelle liste elettorali, il voto poteva avvenire in una delle sezioni elettorali del comune di temporaneo domicilio; b) se, invece, il comune di temporaneo domicilio fosse appartenuto a una circoscrizione diversa da quella del comune di iscrizione nelle liste elettorali, lo studente-elettore avrebbe potuto esercitare il proprio suffragio nel capoluogo della regione in cui si trovava il comune di temporaneo domicilio. In questa seconda ipotesi, il voto veniva comunque espresso «per le liste e i candidati della circoscrizione di appartenenza dell’elettore» presso sezioni elettorali speciali.
In vista dei prossimi referendum abrogativi, la necessità di individuare un meccanismo per consentire il voto a chi si trova temporaneamente lontano dal comune di residenza è divenuta nuovamente oggetto del dibattito politico. Diversi partiti, associazioni e comitati promotori hanno chiesto a gran voce un intervento del Governo e del Parlamento, nel solco della sperimentazione che si era tenuta l’anno precedente. Il 12 febbraio 2025, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, in risposta a due interrogazioni a prima firma rispettivamente dei deputati Magi e Richetti (qui il resoconto stenografico della seduta), aveva dichiarato che per i prossimi referendum non vi era «copertura legislativa per applicare un sistema di voto per gli elettori domiciliati fuori dalla propria residenza», giudicando altresì come «non soddisfacent[i]» i dati dalla precedente sperimentazione, secondo i quali, a seguito di 21.699 istanze di ammissione al voto fuori sede, l’effettiva partecipazione si era attestata su 17.561 votanti, a fronte di 600.000 studenti fuori sede.
A ben vedere, la base numerica complessiva su cui fa affidamento il Viminale risulterebbe inadeguata. Infatti, il numero degli studenti fuori sede, ricavato dal rapporto elaborato dalla Commissione di esperti presieduta dal prof. Bassanini, veniva calcolato prendendo in considerazione gli studenti domiciliati in una provincia diversa da quella di residenza anagrafica. Per contro, come specificato precedentemente, per le elezioni europee del 2024 potevano presentare istanza di ammissione al voto fuori sede solo gli elettori domiciliati per ragioni di studio in un comune situato in una regione diversa da quella di residenza, vedendo inevitabilmente compresso il parametro di riferimento iniziale.
Deve considerarsi, inoltre, che la procedura per la presentazione dell’istanza di ammissione al voto fuori sede è stata caratterizzata da alcuni aspetti poco chiari. In tal senso, basti pensare al requisito della «certificazione o altra documentazione attestante l’iscrizione presso un’istituzione scolastica, universitaria o formativa», che solo la circolare n. 37 del 2024, emanata pochi giorni prima del termine ultimo per la presentazione dell’istanza, ha chiarito potesse essere integrato anche da un’autodichiarazione dei richiedenti. In aggiunta, deve segnalarsi che la prima sperimentazione non è stata accompagnata da un’adeguata campagna informativa con mezzi istituzionali finalizzata a far conoscere agli studenti la possibilità di avvalersi di tale facilitazione.
Ebbene, per i prossimi referendum abrogativi la «copertura legislativa» a cui faceva riferimento il Ministro dell’Interno è arrivata con il d.l. n. 27 del 19 marzo 2025 recante Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2025. In particolare, l’art. 2, stante la lettera della sua rubrica, reca una nuova disciplina sperimentale per l’esercizio del voto da parte degli elettori fuori sede. Si tratta, dunque, di un ulteriore intervento una tantum limitato alle «consultazioni referendarie relative all’anno 2025».
Tuttavia, la nuova disciplina sperimentale contiene importanti elementi di novità rispetto a quella congegnata per le elezioni europee del 2024. Innanzitutto, le modalità di esercizio del voto fuori sede, di cui si dirà a breve, sono rivolte a tutti «gli elettori che per motivi di studio, lavoro o cure mediche sono temporaneamente domiciliati, per un periodo di almeno tre mesi […] in un comune situato in una provincia diversa da quella in cui si trova il comune nelle cui liste elettorali sono iscritti» (art. 2, comma 1).
Si possono immediatamente rinvenire almeno due significativi punti di interesse. In primo luogo, la sperimentazione è estesa a tutti gli elettori fuori sede per motivi di studio, lavoro e cure mediche, replicando la tassonomia già da tempo presente nell’art. 4-bis della legge n. 459 del 2001 per il voto degli elettori temporaneamente all’estero e ripresa nella maggior parte delle proposte di legge sul tema. Viene, pertanto, superata l’irragionevole limitazione posta dall’art. 1-ter del d.l. n. 7 del 2024, che precludeva alle altre categorie di fuori sede, in particolare ai lavoratori (circa 4,5 milioni di elettori), di beneficiare di tale possibilità. In secondo luogo, anche gli elettori domiciliati fuori provincia (e non più solo fuori regione come accaduto per le scorse europee) possono accedere alla procedura prevista dal decreto-legge in commento.
L’art. 2, comma 2, si sofferma sulle modalità di presentazione della domanda. Anche in questo caso rinveniamo un elemento di differenziazione rispetto all’analogo articolo della prima sperimentazione: non più un’istanza rivolta al comune di residenza, bensì a quello in cui gli elettori fuori sede sono temporaneamente domiciliati, da presentare (personalmente, mediante persona delegata o con l’utilizzo di strumenti telematici) almeno trentacinque giorni prima la data della consultazione e revocabile, con i medesimi mezzi, entro il venticinquesimo giorno che precede il voto. Successivamente, entro «il quinto giorno antecedente la data della consultazione, il comune di temporaneo domicilio rilascia all’elettore fuori sede, anche mediante l’utilizzo di strumenti telematici, un’attestazione di ammissione al voto con l’indicazione del numero e dell’indirizzo della sezione presso cui votare» (art. 2, comma 5).
Dal punto di vista dell’organizzazione del voto fuori sede, i referendum abrogativi (e anche quelli costituzionali) non pongono particolari problemi, posto che il «corpo referendario» non è suddiviso in circoscrizioni elettorali, ma si prevede un unico collegio nazionale (a cui si aggiunge la circoscrizione estero). Volendo semplificare, quindi, un “Sì” o un “No” espresso a Roma ha lo stesso valore di quello espresso a Cagliari. Diverso, invece, è stato il caso della sperimentazione del voto fuori sede svoltasi in occasione delle elezioni europee, che ha richiesto agli uffici del Viminale uno sforzo organizzativo certamente maggiore, soprattutto in ragione della necessità di allestire le sezioni elettorali speciali per i votanti residenti fuori dalla circoscrizione elettorale di domicilio.
Orbene, in vista dei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025, gli elettori fuori sede voteranno in una delle sezioni elettorali allestite presso il comune di temporaneo domicilio. Tuttavia, per evitare che ciò finisca per sovraccaricare eccessivamente il lavoro di alcuni uffici elettorali di sezione, soprattutto per quelle città in cui l’incidenza di fuori sede è maggiore, il decreto-legge autorizza i comuni a istituire sezioni elettorali speciali «nel numero di una sezione elettorale per ogni ottocento elettori fuori sede ammessi al voto, distribuendo le frazioni eccedenti il predetto limite numerico in elenchi aggiunti alle liste delle sezioni ordinarie, in numero non superiore, ove possibile, al dieci per cento rispetto al numero di elettori iscritti nella sezione». La distribuzione tra le sezioni ordinarie si applica anche «nei comuni in cui il numero di ammissioni al voto è inferiore al predetto limite numerico» (art. 2, comma 6).
La nuova disciplina sperimentale rappresenta un ulteriore passo in avanti nella garanzia dell’effettività del diritto di voto, nell’ottica di favorire la partecipazione democratica e ridurre l’astensionismo involontario. Si tratta, inoltre, di una scelta politica particolarmente significativa tenuto conto che, come è noto, i referendum abrogativi necessitano di un quorum per essere validi (il 50%+1 degli aventi diritto al voto). È ben evidente che il voto fuori sede reinserisce nel circuito elettorale cittadini che difficilmente avrebbero fatto ritorno nel luogo di residenza anagrafica per l’esercizio del voto referendario. Circostanza, questa, che è senz’altro idonea a incrementare la partecipazione, con l’ulteriore potenziale effetto, almeno sul piano astratto, di aumentare le chances del raggiungimento del quorum costituzionalmente previsto.
Ciò posto, se escludiamo il voto per gli italiani all’estero, la cui disciplina – non esente da critiche – è dettata dalla legge n. 459 del 2001, le forme di convenience voting “all’italiana” poggiano ancora su basi normative precarie. Nonostante questa seconda sperimentazione sia da salutare con favore, si tratta di un meccanismo destinato ad esaurire i suoi effetti con la prossima tornata referendaria. Nessuna certezza, dunque, che esso venga replicato per successive consultazioni.
Nondimeno, scardinato il paradigma del “non si può fare”, sarebbe difficile immaginare di non proseguire, anche in futuro, il cammino verso una piena garanzia dell’effettività del diritto di voto per tutti i cittadini in mobilità. È necessario, dunque, fare tesoro delle risultanze delle sperimentazioni e dell’esperienza così maturata, per addivenire, auspicabilmente entro le prossime elezioni politiche, ad una disciplina del voto fuori sede definitiva, che abbracci quantomeno tutti gli appuntamenti elettorali di rilievo nazionale.
Conclusivamente, non deve essere dimenticato che, subito dopo i referendum del prossimo giugno, sono in calendario le elezioni regionali, che si terranno probabilmente in autunno. Sul punto, è lecito domandarsi se le regioni (sia ordinarie che speciali) possano avere un margine di azione per meglio garantire, in attesa di un intervento del legislatore nazionale, i diritti elettorali dei propri cittadini, similmente a quanto fatto dalla Provincia autonoma di Bolzano che, fin dal 2013, ha previsto il voto per corrispondenza per gli altoatesini residenti all’estero o dimoranti fuori dal territorio provinciale. Crediamo di sì, ma eventuali ulteriori iniziative in tal senso, non potranno che avere come orizzonte di riferimento quello del rispetto degli standard di democraticità di cui all’art. 48, comma 2, Cost.