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FOCUS - Osservatorio sul diritto elettorale

 Groenlandia: alle elezioni anticipate vincono i partiti di opposizione

Svoltesi a pochi giorni di distanza dalle bellicose intenzioni espresse ufficialmente dal Presidente Trump innanzi al Congresso USA (“we’re going to get it [Greenland] - one way or the other, we’re going to get it”), le elezioni anticipate per il rinnovo del Parlamento (Inatsisartut) groenlandese hanno restituito un esito in qualche modo sorprendente per gli analisti politici, smentendo nettamente i sondaggi pre-voto che immaginavano una sostanziale riconferma dei rapporti di forza tra i partiti politici rappresentati dal 2021 in seno all’Assemblea legislativa autonomica, composta di 31 seggi.

Alle elezioni anticipate indette dal Primo ministro in carica Mute Egede – leader del partito Inuit Ataqatigiit – svoltesi l’11 marzo scorso e che hanno registrato una partecipazione del 70,9% degli aventi diritto al voto (+5% rispetto al 2021) su un totale di circa 57 mila cittadini, si è, infatti, affermata come prima forza politica in termini di voti conseguiti (29,9%) e di seggi ottenuti (10) il partito Demokraatit, formazione di centrodestra, guidata da Jens-Fredrik Nielsen e sino ad ora all’opposizione, che ha incrementato di ben il 21% il consenso ottenuto rispetto precedenti elezioni del 2021.

Notevole anche il risultato del partito indipendentista Naleraq – anch’esso all’opposizione – che ha conseguito il 24,5% dei voti e 8 seggi, registrando un incremento del 12,5% rispetto al 2021.

Sconfitti, invece, nettamente i partiti che formavano la coalizione di governo: gli ambientalisti di Inuit Ataqatigiit (7 seggi, -15,3%) e i socialdemocratici di Siumut (4 seggi, -14,7%).

La questione al centro della campagna elettorale è stata, ovviamente, quella dell’indipendenza, ma le preoccupanti mire espansionistiche del Presidente Trump – che ha ventilato a più riprese anche una possibile, non pacifica, annessione della Groenlandia da parte degli USA – hanno certamente influito sugli esiti del voto, determinando un completo ribaltamento dei rapporti di forza tra i partiti politici groenlandesi.

Come noto, alla Groenlandia sono da tempo attribuite condizioni di autonomia del tutto peculiari nell’ambito dell’ordinamento costituzionale danese: la speciale posizione costituzionale della Groenlandia nell’ordinamento è stabilita, oltre che dalle disposizioni della Costituzione del Regno di Danimarca del 1953, dalle norme dello statuto autonomico approvato nel 1978, ma oggetto di complessiva, ampia, riforma nel 2009 (sul quale, volendo, cfr. F. Duranti, La nuova autonomia della Groenlandia, in Federalismi.it, n. 14/2010).

Il nuovo statuto autonomico del 2009 chiarisce, innanzitutto, nel preambolo, che «il popolo groenlandese è un popolo ai sensi del diritto internazionale, con il conseguente diritto all’autodeterminazione», e nel cap. VIII stabilisce il percorso istituzionale, di natura consensuale tra le parti, che può condurre alla definitiva indipendenza della Groenlandia dalla Danimarca: lo statuto, con una importante norma di principio, dispone espressamente che sulla decisione relativa all’indipendenza debba esprimersi direttamente il popolo groenlandese; se la consultazione popolare ha esito positivo, debbono prendere avvio una serie di negoziati tra il Governo groenlandese (Naalakkersuisut) e quello danese, i quali terminano con un accordo tra le parti che deve necessariamente essere soggetto all’approvazione del Parlamento groenlandese e, quindi, sottoposto a referendum in Groenlandia; segue, poi, in base all’art. 19 della Costituzione danese, la necessaria e definitiva approvazione da parte del Parlamento danese; lo statuto specifica, infine, che l’indipendenza comporta l’integrale sovranità groenlandese su tutto il territorio della Groenlandia e l’uscita del paese dal Regno di Danimarca.

La questione dell’indipendenza è, dunque, da tempo al centro del dibattito pubblico in Groenlandia (si veda anche, al proposito, la pubblicazione nell’aprile 2023 di una bozza di Costituzione da parte di una apposita Commissione costituzionale) ed ha ricevuto in questi ultimi mesi un ulteriore forte incremento a seguito delle posizioni espresse da Trump che ha più volte manifestato l’intenzione dapprima – addirittura a far data dal 2019, nel corso del suo primo mandato – di ‘acquistare’ il paese e, poi, più di recente (anche in questi ultimi giorni) di ‘annettere’ (“one way or the other”) la Groenlandia agli USA.

Il forte interesse del Presidente americano è ovviamente legato alla grande ricchezza mineraria del sottosuolo groenlandese in termini di uranio e di terre rare, fondamentali per le esigenze dell’industria tecnologica, e per la posizione geopolitica e strategica della Groenlandia, cruciale per lo sviluppo commerciale delle nuove rotte artiche e per gli interessi militari americani nel nord del globo.

Quasi tutti i partiti che si sono confrontati alle elezioni anticipate si sono espressi in senso favorevole alla piena indipendenza della Groenlandia dalla Danimarca, ma le maggiori divergenze si sono registrate relativamente ai tempi ed ai modi per realizzarla concretamente.

Il partito più fortemente indipendentista e che sostiene l’esigenza di procedere speditamente verso l’indipendenza del paese è Naleraq, giunto secondo in termini voti alle elezioni alle spalle di Demokraatit, che invece propone un percorso più moderato e graduale verso la piena indipendenza dalla Danimarca.

È altrettanto noto, infatti, che oggi la Danimarca contribuisce con rilevanti importi economici (circa 580 milioni di euro all’anno al cambio attuale) al bilancio dell’isola e che secondo il nuovo statuto autonomico del 2009 i proventi derivanti dallo sfruttamento delle risorse minerarie sono ora di diretta competenza delle autorità groenlandesi, con la conseguenza che l’incremento di gettito erariale che ne può derivare comporterebbe una corrispondente diminuzione del gettito fiscale versato dalle autorità danesi in favore di quelle autonomiche.

Il tema dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo – oggi al centro del dibattito a causa delle mire USA – divide i partiti, con la coalizione di governo tra Inuit Ataqatigiit e Siumut, sconfitta nettamente alle urne, che ha sempre proposto un approccio più attento agli interessi dell’ambiente e della natura, mentre l’opposizione, oggi premiata dagli elettori, sembra incline a rivedere queste scelte ed incrementare in senso commerciale lo sfruttamento delle ricche risorse minerarie groenlandesi.

In ogni caso, nessuno dei partiti ha ottenuto la maggioranza assoluta dei 31 seggi del Parlamento: si apre, perciò, ora la delicata fase delle trattative per la formazione di una nuova coalizione di governo.

Lo statuto autonomico stabilisce, al proposito, la cornice generale di di riferimento per la forma di governo, rinviando ad una legge ordinaria – approvata nel 2010 – per la disciplina effettiva dei rapporti tra esecutivo e legislativo, la quale prevede, in sintesi, che: a) il Parlamento deve riunirsi per la prima volta entro 45 giorni dallo svolgimento delle elezioni e decide in via esclusiva su eleggibilità e decadenza dei propri membri; b) il Primo ministro e gli altri ministri sono eletti direttamente dal Parlamento e non v’è incompatibilità tra mandato parlamentare ed incarichi di governo; c) l’elezione del Primo ministro – che deve essere membro del Parlamento – e dei ministri proposti dal Premier all’Assemblea deve avvenire a maggioranza dei 31 componenti del Parlamento; d) il Parlamento può sfiduciare il Primo ministro e i singoli ministri; e) lo scioglimento anticipato del Parlamento è di esclusiva competenza del Primo ministro, che può determinarlo anche se sfiduciato e che resta in carica per l’ordinaria amministrazione sino alla nomina del nuovo esecutivo.

In base ad una consuetudine costituzionale da tempo in essere, infine, sarà il leader del partito con maggior numero di seggi in Parlamento – e dunque Jens-Fredrik Nielsen di Demokraatit – a condurre le trattative per la formazione di un esecutivo di coalizione, che si troverà ad affrontare decisive sfide per il futuro della Groenlandia, la più grande isola del globo, oggi involontariamente alla ribalta dello scenario geopolitico internazionale.



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