Si sente spesso dire che il problema principale dell’Unione europea – che limita la sua azione e mina la sua credibilità – sia il c.d. deficit democratico. Lo si dice ormai da sempre, come se – nonostante le molte riforme intervenute dalla nascita del processo di integrazione ad oggi – nulla, o poco, fosse cambiato. D’altro canto, è abbastanza diffuso il timore che le Istituzioni europee siano eccessivamente politicizzate e perdano la loro posizione di indipendenza – in attuazione dei Trattati – fuori dal contrasto tra parti politiche. Eppure, le due riflessioni a ben vedere sembrerebbero in contraddizione. Delle due l’una: o l’UE deve mantenere una posizione di terzietà e imparzialità tipica di enti tecnici, allora in questo caso poco importa, anzi sarebbe meglio evitare di rafforzare la legittimazione democratica delle sue Istituzioni; oppure, al contrario, se riteniamo indispensabile e positivo il rafforzamento dell’UE e delle sue Istituzioni, allora non è possibile criticare la sua politicizzazione, anzi dovendo necessariamente sostenere che la rappresentanza democratica debba portare con sé maggiori funzioni e competenze politiche. In questo scenario deve essere svolta la riflessione relativa agli Spitzenkandidaten – o meglio, preferendo la lingua italiana – la riflessione sui “candidati principali” (o “candidati guida”), la cui introduzione, come si argomenterà, pur non consentendo di qualificare la forma di governo europea come parlamentare, rappresenta di certo un ulteriore passo verso, non tanto la definizione della forma di governo dell’UE, quanto verso il desiderabile e necessario rafforzamento del suo ruolo politico. Un “piccolo passo” certo, ma tutta la storia del processo di integrazione è fatta di “piccoli passi”. Del resto, come si dirà meglio, oggi il problema dell’UE non sembra risiedere più nel deficit democratico, bensì proprio negli istituti che possano rafforzare il ruolo politico delle Istituzioni europee, in un quadro tuttavia che dovrà mutare in ordine ai fini e alle competenze… (segue)
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