editoriale di Stefano Ceccanti
Tra nuova governance europea e crisi di governo. Chi si farà carico della stringente 'responsabilità europea'?
La metafora evangelica dell’amaro calice da bere, di fronte al quale anche il Salvatore ebbe le sue umanissime esitazioni, una delle più belle del Nuovo Testamento, è forse la più adeguata a descrivere i problemi derivanti dalla nuova governance economica europea che avanza nel silenzio quasi generale.
Tutti i responsabili italiani sono del resto abituati, come in quel decisivo episodio evangelico, a sperare fino all’ultimo che si possa evitare di dover passare davvero per prove potenzialmente benefiche ma momentaneamente molto problematiche. Prima di realizzare meritoriamente l’aggancio con l’Euro, che accantonò l’incubo della secessione, alcuni sostengono che ci provò anche Romano Prodi, cercando inutilmente sponda in José Maria Aznar nel vertice di Valencia del 1996, anche se Prodi ha smentito: in ogni caso il tempo della decisione era ormai senza possibilità di uscita.
Ci proveranno forse ancora i governanti italiani che si presenteranno al Consiglio europeo di dicembre, provando magari a ottenere uno sconto sostanzioso e sanzioni non troppo rigide, ma le cifre di partenza non potranno essere edulcorate più di tanto e dalla loro crudezza occorre partire.
Stiamo esattamente parlando di impegni stringenti nel rapporto debito/Pil che al momento sono quantificati annualmente, secondo la proposta della Commissione, ma è simile quella della task force del Consiglio, di un ventesimo della differenza tra la media degli ultimi tre anni e il traguardo del 60 per cento.
Per il nostro Paese la media 2011-2013 è il 117,3%, che diviso 20 significa almeno una decurtazione annua del 2,865%, poco più di 49 miliardi di euro di tagli: questa è la cifra che ha fatto nell'Aula del Senato il 10 novembre il senatore Lauro (Pdl), mentre altri stimano in 45 miliardi l'impatto annuo... (segue)
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