Sono trascorsi ormai quasi diciotto anni dalla nota sentenza Courage, con la quale la Corte di giustizia ha inaugurato un’intensa stagione di dibattiti, riflessioni e proposte in merito al c.d. private enforcement del diritto europeo della concorrenza. Una stagione che, nonostante il tempo trascorso e gli sviluppi verificatisi dai primi anni Duemila ad oggi, sembra ancora lontana dalla sua conclusione. È innegabile che molti sforzi siano stati profusi, da più parti, al fine di superare la situazione di “totale sottosviluppo” del private enforcement del diritto antitrust europeo, lucidamente descritta in un noto studio realizzato nel 2004 da Ashurst su richiesta della Commissione europea. E un ruolo da protagonista è stato svolto, in tale contesto, proprio dalla Commissione, che si è resa promotrice di un percorso contrassegnato dall’adozione del Libro verde del 2005 e del Libro bianco del 2008 e culminato, infine, con l’approvazione della direttiva 2014/104/UE da parte del Parlamento europeo e del Consiglio. La c.d. “Direttiva Danni” è, dunque, il risultato di un lungo processo di elaborazione, nel corso del quale si sono susseguiti dubbi, contrasti, mutamenti di prospettiva, battute d’arresto e momenti di rilancio. Anche per questa ragione, oltre che per l’indubbia rilevanza pratica della nuova disciplina, la direttiva ha dato luogo a notevoli aspettative e speranze da parte degli operatori e, segnatamente, delle associazioni dei consumatori. Volendo tracciare un bilancio – necessariamente provvisorio – delle innovazioni introdotte dalla Direttiva Danni, a seguito del recepimento della stessa in tutti gli Stati membri e alla luce delle prime applicazioni delle nuove norme, pare potersi affermare che le aspettative di cui si è detto sono rimaste, ad oggi, almeno in parte disattese. Se è vero che la previsione di talune regole comuni in materia di azioni risarcitorie antitrust costituisce un risultato da non sottovalutare, è altresì vero che numerose questioni tutt’altro che secondarie restano aperte o irrisolte, lasciando spazio a considerevoli dubbi in merito alla possibilità di raggiungere un equilibrio corretto ed efficiente tra l’applicazione “pubblicistica” e quella “privatistica” del diritto europeo della concorrenza… (segue)
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