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Negli ultimi anni, a livello internazionale, si è registrato un interesse crescente nei riguardi del riconoscimento e della promozione dei diritti dei contadini. Di recente, i Peasants’ Rights sono stati al centro di un lungo ed articolato processo di negoziazione conclusosi il 17 dicembre 2018 con l’adozione a maggioranza da parte dell’Assemblea Generale, della Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali (da qui in avanti: Dichiarazione sui diritti dei contadini). Per quanto abbia sinora ricevuto in dottrina un’attenzione piuttosto limitata, la Dichiarazione suscita interesse sotto vari profili. Come ha osservato Priscilla Claeys, undici anni dopo la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni, essa aggiunge un importante tassello al processo di consolidamento e “decolonizzazione” dei diritti umani. Ma soprattutto si inserisce nel processo di riconcettualizzazione dei diritti della persona – considerata nella concretezza dei suoi bisogni e immersa nella sua dimensione sociale – che caratterizza il nuovo costituzionalismo degli Stati latinoamericani, così come la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e alcune delle più recenti convenzioni internazionali in tema di diritti umani. L’adozione di detto strumento di soft law è il frutto di sei anni di negoziato condotto nel quadro del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC). Il Consiglio, nel 2012, aveva conferito mandato a un gruppo di lavoro intergovernativo (OEIWG) di negoziare una bozza di dichiarazione sui diritti dei contadini e di coloro che lavorano nelle aree rurali, nella convinzione che fosse necessario introdurre specifici strumenti giuridici internazionali a protezione di persone che costituiscono circa la metà della popolazione mondiale e vivono per lo più in condizioni di indigenza e spesso di denutrizione. È stato, infatti, calcolato che su 821 milioni di persone che soffrono la fame sul nostro pianeta, l’80% vive nelle aree rurali e, al contempo, i piccoli produttori contribuiscono, in media, a produrre il 70% del cibo nel mondo; percentuale che aumenta ad oltre l’80% nei Paesi in via di sviluppo, consentendo, così, sia la sovranità alimentare delle comunità rurali che la resilienza dei sistemi alimentari difronte al fenomeno del cambiamento climatico… (segue)
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