La Corte di giustizia è adita con la domanda di pronuncia pregiudiziale per l’interpretazione dell’art. 15, par. 3, del regolamento (UE) 2016/679, sul diritto del paziente a ottenere copia della cartella clinica, in particolare ai fini della pretesa risarcitoria verso il medico.
Domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, 10 maggio 2022, causa C-307/22, FT c DW
Protezione dei dati personali – Diritto di accesso dell’interessato – Cartella clinica – Copia – Spese – Esercizio della pretesa risarcitoria
Protezione dei dati personali – Diritto di accesso dell’interessato – Cartella clinica – Copia – Spese – Limitazioni
Protezione dei dati personali – Diritto di accesso dell’interessato – Cartella clinica – Copia – Contenuto
Il 10 maggio 2022 è stata depositata una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ex art. 267 TFUE, avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 15, par. 3, del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (GDPR).
Il procedimento dinanzi al giudice a quo, il Bundesgerichtshof, riguardava la richiesta, da parte di un paziente, di ottenere gratuitamente copia della propria documentazione clinica, presso l’odontoiatra. Nel caso di specie, infatti, al paziente che avanzava questa richiesta, per valutare la possibilità di un risarcimento del danno in conseguenza delle prestazioni sanitarie ricevute, il medico rifiutava di consegnare tale copia gratuitamente, sostenendo di avere diritto invece a un rimborso, ai sensi dell’art. 630g del BGB, secondo cui il paziente che chieda copia della propria cartella clinica è tenuto a rimborsare al professionista sanitario le spese sostenute.
Il giudice di grado inferiore aveva accolto l’istanza del paziente e l’impugnazione di quel provvedimento non era stata accolta, sulla base del diritto, riconosciuto allo stesso, ex art. 15 GDPR.
Diverse sono le questioni sollevate.
In primo luogo, il giudice a quo chiede se l’art 15, par. 3, prima frase, in combinato disposto con l’art. 12, par. 5, GDPR, vada interpretato nel senso che il titolare del trattamento – in specie, il medico curante – non è tenuto a fornire all’interessato – qui, il paziente – una prima copia dei dati gratuitamente.
Secondo l’art. 15, par. 3, GDPR, il titolare del trattamento può addebitare un contributo spese per le copie ulteriori, cioè successive alla prima, mentre, per l’art. 12, par. 5, il contributo può essere addebitato, in ogni caso, se le richieste dell’interessato sono manifestamente infondate o eccessive. L’onere di provare tale carattere incombe sul titolare.
Il giudice riporta la tesi – sulla cui bontà egli stesso nutre dubbi – per la quale un diritto alla consegna non può fondarsi sulle menzionate disposizioni, quando siano perseguiti interessi diversi dalla protezione dei dati, ossia qualora, come nel caso in esame, l’interesse a ottenere le informazioni sia motivato dalla possibilità di preparare l’esercizio di una pretesa in materia di responsabilità del medico. Questa interpretazione sarebbe corroborata dall’incipit del considerando 63, secondo cui «un interessato dovrebbe avere il diritto di accedere ai dati personali raccolti che la riguardano e di esercitare tale diritto facilmente e a intervalli ragionevoli, per essere consapevole del trattamento e verificarne la liceità».
Ma l’infondatezza della domanda di copia non potrebbe ricavarsi dalla motivazione dell’interessato all’accesso stesso, prescindendo dal relativo esercizio del diritto. E neppure si tratterebbe di una domanda eccessiva o di una pratica abusiva, secondo l’indirizzo della Corte di giustizia (v. Corte giust. UE, 26.2.2019, cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, N Luxembourg 1).
In secondo luogo, subordinatamente alla risposta negativa alla prima questione, il giudice del rinvio chiede come possa correttamente intendersi il regime delle spese a carico del paziente, sancito dalla disposizione nazionale, alla luce del diritto eurounitario, ossia se quanto disposto dall’art. 23, par. 1, GDPR – che contempla la possibilità, per il legislatore domestico, di limitare la portata degli obblighi e diritti dettati agli artt. da 12 a 22 del GDPR, purché sia rispettata l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata che salvaguardi uno degli obiettivi indicati – possa valere anche per la norma di cui all’art. 630g BGB.
Infine, in subordine alla ulteriore risposta negativa, è chiesto se, nell’ambito del rapporto medico-paziente, il diritto di cui all’art. 15, par. 3, prima frase, GDPR includa il diritto alla consegna di copie di tutte le parti della cartella clinica contenenti i dati personali del paziente, o se riguardi unicamente la consegna di una copia dei dati personali del paziente in quanto tale, lasciando al medico che tratta i dati la decisione circa le modalità di compilazione di tali dati per il paziente interessato.
Si evidenzia come il contenuto e la portata dell’obbligo di fornire una copia dei dati personali oggetto del trattamento, ai sensi dell’art. 15, par. 3, prima frase, GDPR, siano controversi e già oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale pendente, proposta dal Bundesverwaltungsgericht (ordinanza di rinvio del 9 agosto 2021, causa C-487/21).
Secondo un orientamento, infatti, se l’interessato lo richiede, il titolare dovrebbe consegnargli una copia di tutti i dati personali trattati e non una mera sintesi o compilazione. Questa interpretazione partirebbe dall’assunto per cui il diritto di ottenere copia di cui all’art. 15, par. 3, è autonomo rispetto al diritto di accesso sancito dal par. 1 del medesimo articolo «e pertanto non sarebbe sistematicamente limitato al contenuto richiesto dell’informazione ai sensi di tale disposizione».
SC