Pres. A. Scrima, Est. M. Gorgoni – Sa.Fr. (Avv.to Pietro di Stefano) c. Asl (omissis) (Avv.ti Gianluca Marmorato e Massimo Botta) e Z.B. Italia Srl
Responsabilità sanitaria – Protesizzazione – Responsabilità del produttore – Prodotto difettoso – Conoscenze scientifiche – Esercizio di attività pericolose.
A seguito di un impianto di protesi all’anca nel 2009, un paziente riportava danni da metallosi per le caratteristiche della protesi stessa e agiva in giudizio nei confronti dell’Azienda sanitaria e della società produttrice domandandone la condanna al risarcimento. Il Tribunale rigettava la domanda e la Corte d’appello di Genova confermava la decisione, escludendo che vi fossero all’epoca studi scientifici che comprovassero la rischiosità di quella tipologia di protesi, di modo che ai medici non si poteva imputare alcuna violazione delle leges artis, nemmeno per non aver informato del rischio di metallosi che non era in alcun modo prevedibile; ed escludendo pure la responsabilità del produttore, ritenendo che non gli si potesse imputare di aver messo in commercio un prodotto difettoso, perché solo nel 2010, e quindi non al momento dell’impianto delle protesi – coincidente con il momento dell’immissione in commercio – erano emersi i danni potenziali derivanti dalle stesse.
Avverso la pronuncia della Corte territoriale era proposto ricorso per cassazione.
Le censure mosse dal ricorrente con i primi tre motivi – relativamente alla responsabilità della struttura sanitaria – sono respinte dalla Cassazione in quanto inammissibili o infondate, mentre trovano accoglimento le censure di cui ai motivi quarto e quinto, attinenti alla responsabilità della società produttrice.
I giudici di legittimità sottolineano che al produttore è richiesta la prova non già di avere osservato la prassi e gli standard di sicurezza in uso nel settore in cui opera, ma di avere osservato il livello più avanzato di dette conoscenze al momento dell’immissione in commercio del prodotto – ossia, secondo l’art. 119 cod. cons., al momento in cui ha consegnato il prodotto all’acquirente, all’utilizzatore o a un ausiliario di questi, anche in visione o in prova, o mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere perché sia inviato all’acquirente o all’utilizzatore – coincidente, nel caso di specie, con l’impianto delle protesi.
«La nozione di prodotto difettoso – precisano – non esprime un concetto autonomo, ma relazionale, in quanto stretto tra le esigenze dell'impresa e quelle di tutela dell'utilizzatore, ma anche tra quelle di funzionalità del prodotto e di sicurezza dello stesso: il che equivale a dire tra livello di protezione del consumatore in una società industriale avanzata e (anche) incentivi all'innovazione tecnologica; con le inevitabili ricadute in punto di accertamento del se il danno poteva essere più facilmente (cioè con minor sacrificio) evitato dalla vittima o dal produttore, alla luce delle informazioni di cui ciascuno dei due poteva disporre nel momento in cui ha agito, in uno con il rilievo attribuito ad una distinzione inespressa, in materia di responsabilità del produttore, ma comunque presupposta tra: i) danni prevedibili ed evitabili; ii) danni astrattamente prevedibili, ma inevitabili; iii) danni imprevedibili ed inevitabili con riferimento al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione».
Chiarita l’irrilevanza in questo contesto della certificazione di conformità delle protesi – poiché anche il prodotto conforme può essere dannoso e la certificazione in sé non esonera il produttore da qualsiasi responsabilità – la Cassazione osserva come, ben prima che quella protesi fosse impiantata, lo stato delle conoscenze scientifiche fosse tale da far sospettare l’esistenza del difetto. Ciò non avrebbe dovuto mandare esente da responsabilità la società produttrice per aver continuato a commercializzare le protesi per tutto il 2009 e per non avere adottato alcun comportamento specifico che, anche senza arrivare al ritiro dal commercio delle protesi, creasse uno stato di allerta nei sanitari attraverso avvertenze specifiche sui casi in cui era sconsigliato l’impianto di quel tipo di protesi.
«A maggior ragione – aggiunge – la Corte territoriale ha errato là dove ha negato la ricorrenza dei presupposti per applicare l'art. 2050 cod. civ. Ora, la fattispecie regolata dall'art. 2050 cod. civ. pone attenzione all'attività produttiva in sé, mentre la disciplina in tema di responsabilità del produttore fa riferimento alla dimensione circolatoria del prodotto finale; la lettera e) dell'art. 118 cod. cons. rimanda, quale causa di esonero da responsabilità, allo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche esistenti all'atto di immissione in commercio dei prodotti che non consentiva ancora di considerare questi ultimi come difettosi (c.d. rischio da sviluppo), nei giudizi ex art. 2050 cod. civ., per contro, il produttore viene gravato da un'ardua prova liberatoria, essendo tenuto a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee per impedire il danno […], non bastando la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorrendo quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, comprese quelle aggiuntive che la situazione del caso concreto e/o i progressi della tecnica consigliano».
Pertanto, la sentenza impugnata è cassata con rinvio.