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FOCUS - Osservatorio di Diritto sanitario

 La dirigenza e le professioni sanitarie

La dirigenza sanitaria

(di Maria Stella Bonomi)

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La dirigenza e la gestione delle aziende sanitarie. – 3. Le principali novità contenute nei decreti attuativi della riforma sulla p.a.  – 4. Le responsabilità dirigenziali.

 

  1. Premessa.

Il settore sanitario rappresenta un vero e proprio unicum nel panorama delle pubbliche amministrazioni, sia perché dominato da un quadro normativo che presenta non pochi profili di specialità, sia per la qualificazione delle Aziende sanitarie locali come aziende in possesso, da un lato, della personalità giuridica di diritto pubblico e, dall’altro, di una vera e propria autonomia imprenditoriale. Gli operatori sanitari agiscono nel «terreno» estremamente sensibile dei diritti sociali costituzionalmente garantiti che richiedono inderogabilmente azioni positive da parte dei pubblici poteri per la loro effettiva soddisfazione, in favore di una collettività che non può essere ristretta ai possessori dello status di cittadini.

La disciplina di carattere generale della dirigenza del comparto sanitario si rinviene, anzitutto, nel D.lgs. n. 165 del 2001 (T.U. sul pubblico impiego), che ha esteso la disciplina privatistica ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.  Il citato T.U., all’art. 1, comma 2, chiarisce che, nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, sono da ricondurre anche le «aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale». Il successivo art. 26, inoltre, nel regolamentare l’accesso al ruolo della dirigenza sanitaria, menziona espressamente, al comma 2, il D.lgs. n. 502 del 1992 e s.m.i., recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria», come normativa speciale alla quale fare riferimento per l’ordinamento della dirigenza del Servizio sanitario.

La materia della dirigenza sanitaria è stata oggetto di molteplici interventi normativi e, da ultimo, è stata incisa anche dalla c.d. riforma Madia e, specificamente, dal D.lgs. n. 171 del 2016 e dal successivo D.lgs. correttivo n. 126 del 2017, di attuazione della delega contenuta nell’art. 11, comma 1, lett. p), della legge 7 agosto 2015, n. 124.

 

 

  1. La dirigenza e la gestione delle aziende sanitarie.

Il settore sanitario, a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso, è stato oggetto di un lungo processo di c.d. aziendalizzazione, che ha portato alla trasformazione del ruolo e della funzione della dirigenza, al fine di migliorare il funzionamento degli enti di erogazione delle prestazioni sanitarie. Tale obiettivo è stato perseguito, anzitutto, attraverso la valorizzazione della figura del direttore generale nonché attraverso la coincidenza nelle figure dirigenziali di compiti manageriali, da un lato, e professionali, dall’altro.

Nel settore della sanità il numero dei dirigenti è in proporzione assolutamente superiore rispetto a quello di qualsiasi altro ambito amministrativo, poiché si è voluto qualificare come appartenenti alle aree dirigenziali pressoché tutti i professionisti medici operanti in sanità. 

A seguito dei numerosi interventi normativi si è, quindi, affermato un nuovo modello di azienda sanitaria, che vede al suo vertice il c.d. top management aziendale, comprendente il direttore sanitario e i direttori amministrativo e sanitario. Ad un livello inferiore, invece, si colloca la c.d. dirigenza operativa.

 La dirigenza sanitaria, in base a quanto disposto dall’art. 15, comma 1, del D.lgs. n. 502 del 1992 «è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali e in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali».

Nell’organizzazione sanitaria, il principio di distinzione fra attività di indirizzo e attività gestionale si realizza nella dinamica dei rapporti fra governo regionale e direzione delle aziende sanitarie e si basa sulla natura strumentale dell’azienda sanitaria rispetto al raggiungimento degli obiettivi di salute, individuati, per l’appunto, dalla Regione e posti in essere dall’azienda stessa.

L’art. 3, comma 6, del citato D.lgs. n. 502 del 1992, infatti, riservando al direttore generale «tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza delle unità sanitaria locale», lo ha reso responsabile della dimensione operativa e gestionale dell’azienda sanitaria di fronte alla Regione. 

La disciplina dell’organizzazione aziendale contenuta nel citato Decreto del 1992, tuttavia, oltre a prevedere una riserva al direttore generale di tutti i poteri di gestione, riconosce esplicitamente competenze gestionali anche ad altre figure dirigenziali, quali il direttore amministrativo, il direttore sanitario, i dirigenti di struttura, il direttore di distretto, il dirigente medico, il dirigente sanitario di presidio, i direttori di dipartimento. L’art. 3, comma 7, dispone che «il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari; […] il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell’unità sanitaria locale». Il successivo art. 15, comma 6, attribuisce ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa «oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, […] anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio […]».

Alla luce di quanto esposto, pertanto, la riserva al direttore generale di tutti i poteri di gestione deve essere interpretata in maniera per così dire «astratta»: i poteri di gestione appartengono tutti al direttore generale perché è ad esso che spetta la decisione inerente a quali e quanti di essi trasferire alle altre figure dirigenziali, da esercitarsi mediante l’adozione dell’atto aziendale ex art. 15-bis, del D.lgs. n. 502 del 1992. Conseguentemente, le riserve che la legge fa di poteri gestionali ai direttori di distretto, dipartimento, presidio, struttura rappresentano un minimo base al di sotto del quale il direttore generale non può andare nella distribuzione dei compiti di gestione.

I dirigenti del settore sanitario sono articolati in due aree distinte: (i) quella della dirigenza medica, comprendente i medici e i veterinari; (ii) quella della dirigenza non medica, comprendente i dirigenti amministrativi, i chimici, i biologi e gli psicologi.

Tutti i dirigenti – medici e non medici – ad eccezione di quelli amministrativi, svolgono anzitutto un’attività professionale alla quale può affiancarsi un incarico gestionale in senso proprio. Con particolare riguardo ai medici, inoltre, occorre sottolineare che la qualifica dirigenziale è automaticamente connessa alla loro professionalità. Ne deriva che, tutti i medici dipendenti delle aziende sanitarie sono inquadrati come dirigenti a prescindere dallo svolgimento di incarichi di direzione di strutture.

Una peculiarità della disciplina concernente la dirigenza sanitaria riguarda il fatto che, diversamente da quanto previsto per gli altri dirigenti della pubblica amministrazione, i dirigenti sanitari, soprattutto medici, possono esercitare anche attività libero-professionale oltre quella svolta presso le strutture pubbliche delle quali sono dipendenti. Si tratta della c.d. attività libero professionale intramuraria.

 

  1. Le principali novità contenute nei decreti attuativi della riforma sulla p.a.

La stagione di riforme che ha investito il settore della sanità non poteva non toccare anche le procedure di nomina, valutazione e decadenza degli organi di vertice delle aziende sanitarie. A tali figure di vertice compete, infatti, l’attuazione dei programmi di salute approvati a livello politico, ma anche e soprattutto, la gestione complessiva dell’azienda di cui sono responsabili per eventuali inefficienze organizzative e gestionali.

L’obiettivo delle innovazioni che hanno riguardato i vertici aziendali è stato senza dubbio quello di sottrarre il sistema delle nomine a criteri puramente fiduciari – legati a valutazioni soggettive ancorate alla consonanza politica e personale con il titolare dell’organo politico –  per conformarle a principi di trasparenza e di merito.

Il D.lgs. 4 agosto 2016, n. 171, coerentemente con il contenuto della delega del quale è attuazione (art. 11, comma 1, lett. p), della legge n. 125 del 2015), interviene su tre aspetti chiave concernenti gli incarichi apicali delle aziende e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale: (1) le modalità di individuazione dei soggetti che possono ricevere l’incarico di direttore generale; (2) le modalità di individuazione di coloro che possono ricevere gli incarichi di direttore sanitario, direttore amministrativo e, ove previsto, direttore dei servizi sociali; (3) la valutazione dei risultati gestionali conseguiti da tali figure dirigenziali e le conseguenze che ne derivano.

L’intento, ribadito anche nella relazione di accompagnamento al testo normativo, è quello di slegare nomina e revoca degli incarichi dalla c.d. «fiducia politica», per agganciarle «a una valutazione di profilo tecnico finalizzata alla selezione delle professionalità ritenute maggiormente competenti e adeguate a ricoprire l'incarico». Si conferma in questo modo il forte investimento sulle figure di vertice della gestione sanitaria, alle cui capacità gestionali e tecniche si affida il buon funzionamento del sistema.

Sull’impianto delineato dal D.lgs. n. 171 del 2016 è poi intervenuto il successivo D.lgs. n. 126 del 2017, predisposto anche in considerazione della sentenza della Corte costituzionale 25 novembre 2016, n. 251, che ha dichiarato illegittima la procedura relativa alla delega sulla dirigenza sanitaria nella parte in cui aveva stabilito che il relativo Decreto legislativo attuativo dovesse essere adottato previa acquisizione del parere reso in Conferenza unificata anziché previa intesa acquisita nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome.

Nella disciplina appena introdotta dal D.lgs. n. 171 del 2016, l’elenco degli idonei alla nomina non ha più carattere regionale, ma diviene statale. L’art. 1, comma 2, infatti, prevede che l’elenco sia istituito presso il Ministero della salute, che lo pubblica sul suo sito internet e lo aggiorna ogni due anni.

I requisiti che occorre possedere per candidarsi ad essere inseriti nel predetto elenco nazionale ricalcano in parte quelli che la disciplina previgente richiedeva per l’inserimento negli elenchi regionali. Si ha, in particolare, riguardo al titolo di laurea e all’esperienza dirigenziale, almeno quinquennale nel settore sanitario e settennale in altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e finanziarie. A tali requisiti, tuttavia, la nuova normativa ne aggiunge altri due: (1) l’età del candidato, che non deve aver superato i 65 anni; (2) e le conoscenze acquisite, occorrendo aver già svolto il corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria.

Secondo le attuali previsioni, la commissione deve procedere ad una vera e propria valutazione dei titoli e dell’esperienza dirigenziale già maturata ed assegnare un punteggio alla luce di criteri che devono essere predefiniti nell’avviso pubblico. L’iscrizione all’elenco statale è possibile solo allorquando la valutazione ottenuta sia non inferiore a 70 punti. Questo profilo rappresenta senza dubbio una delle più rilevanti novità della riforma, dal momento che definisce con chiarezza la differenza fra requisiti di accesso alla procedura ed elementi valutabili al fine dell’iscrizione, e, pertanto, chiarisce la natura effettivamente selettiva del procedimento di inclusione nell’elenco degli idonei.

Di particolare interesse risulta, altresì, la nuova fase di individuazione del soggetto incaricando, che avviene sul piano regionale. Anche in questa sede, infatti, è prevista una procedura di ulteriore selezione dei soggetti che possono aspirare alla nomina. La regione, in particolare, rende noto con apposito avviso pubblico l’intento di assegnare un incarico di direttore generale e nomina una commissione di esperti. La procedura, alla quale possono partecipare unicamente gli iscritti nell’elenco nazionale, prevede un’ulteriore fase di valutazione dei titoli e colloquio effettuata da una commissione regionale, nominata dal Presidente della Regione secondo modalità e criteri definiti dalle Regioni medesime. All’esito della valutazione e del colloquio la commissione propone una rosa di candidati alla Regione, che sceglie il prescelto per l’incarico, motivando le ragioni della nomina in un apposito provvedimento. La previsione di una rosa di nomi rappresenta un significativo progresso nella limitazione della discrezionalità del vertice politico nella scelta del nominando.

Un ultimo aspetto che merita di essere sottolineato riguarda il meccanismo di c.d. rotazione degli incarichi. Si prevede, infatti, che nella rosa di candidati non possano essere inseriti coloro che abbiano già ricoperto per due volte l’incarico di direttore generale presso la medesima azienda o ente del servizio sanitario.

Coerentemente con quanto previsto nella legge di delega, la riforma abbina alla disciplina dell’assegnazione dell'incarico, alcune importanti modifiche del sistema di verifica e valutazione dei direttori generali.

All’atto di nomina a ciascun direttore generale sono assegnati gli obiettivi della gestione, articolati in: (i) obiettivi di risultato in senso stretto (c.d. obiettivi di salute); (ii) obiettivi più propriamente gestionali (c.d. obiettivi di funzionamento dei servizi); (iii) obiettivi di trasparenza. Questi ultimi riguardano le misure che il direttore deve porre in essere non solo per assicurare l’effettiva pubblicazione dei dati, ma anche per rendere questi ultimi «di immediata comprensione e consultazione per il cittadino» e, tra questi, meritano particolare attenzione quelli concernenti i dati di bilancio e i costi del personale.

Giova sottolineare come la violazione dei predetti obblighi di trasparenza non comporta soltanto la decadenza dall’incarico e la cancellazione dall’elenco, ma, a differenza degli altri inadempimenti, non consente il reinserimento nell’elenco ad esito di una successiva selezione.

Un momento chiave della verifica dei risultati della gestione si colloca dopo due anni dall’inizio dell'incarico –  la cui durata deve attestarsi fra i tre anni minimi e i cinque massimi. Trascorsi ventiquattro mesi dalla nomina, la Regione procede all’accertamento dei risultati aziendali conseguiti nel perseguimento delle tre tipologie di obiettivi assegnati sopra menzionati. L’esito negativo della verifica comporta, previa contestazione e contraddittorio con l'interessato, la decadenza immediata dall’incarico. La risoluzione del contratto di incarico, inoltre, può conseguire anche dall’accertamento, in qualsiasi momento, del ricorrere di gravi motivi, di un grave disavanzo, della violazione di leggi, regolamenti o dei principi di imparzialità e buon andamento e, come già chiarito, della violazione degli obblighi in materia di trasparenza. Anche in questi casi la Regione procede previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio. I provvedimenti di decadenza sono comunicati al Ministero della Salute che provvede alla cancellazione del nominativo dell'interessato dall'elenco nazionale.

Come sopra illustrato, ad affiancare il direttore generale nella gestione dell’azienda sono previste altre due figure: il direttore amministrativo e quello sanitario. Il D.lgs. n. 502 del 1992 prevede che questi «coadiuvino» il vertice aziendale nell’esercizio delle proprie funzioni, riconoscendogli espressamente un ruolo propositivo e consultivo nei confronti delle decisioni della direzione generale.

Il D.lgs. n. 171 del 2016, in esecuzione della delega conferita anche su questo aspetto dall’art. 11, comma 1, lett. p), della legge n. 124 del 2015, opera un ripensamento della disciplina previgente con l’obiettivo di garantire, insieme al mantenimento di un margine decisionale sufficientemente ampio che consenta al direttore generale di scegliere chi affiancare a sé nel governo aziendale, la garanzia che la scelta cada su persone altamente qualificate, dotate di tutti i requisiti di idoneità all'assunzione dei compiti propri del ruolo da ricoprire.

In questa prospettiva il decreto citato prevede per tutte le Regioni la costituzione di elenchi di aspiranti agli incarichi di direttore amministrativo e sanitario e, ove previsto, di direttore dei servizi sociosanitari, disponendo che l’iscrizione a tali elenchi sia subordinata ad una selezione per titoli e colloquio, previo avviso pubblico, effettuata da una commissione di esperti nominata dalla regione interessata. L’intento della disciplina è quello di favorire una effettiva valutazione dei candidati, in modo da selezionare i più idonei.

La novella interviene altresì sulla durata degli incarichi che, analogamente a quanto previsto per i direttori generali, non deve essere inferiore a tre anni e superiore a cinque.

Infine, così come avviene per il direttore generale, anche gli incarichi di direttore sanitario, amministrativo sono soggetti a decadenza immediata in caso di manifesta violazione di leggi, regolamenti e dei principi di imparzialità e buon andamento. In questi casi, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, il direttore generale risolve il contratto con provvedimento motivato e provvede alla sostituzione della figura rimossa attingendo nuovamente agli elenchi regionali.

La scelta legislativa di procedimentalizzare le modalità di individuazione dei soggetti ai quali affidare gli incarichi di direzione delle aziende del servizio sanitario va certamente vista con favore. L’idea di prevedere una selezione degli aspiranti che presentino le caratteristiche migliori per svolgere le funzioni richieste ha il duplice pregio di: (i) elevare il livello delle professionalità che governeranno la sanità; (ii) di attenuare il peso delle valutazioni "politiche" nell'assegnazione degli incarichi.

 

  1. Le responsabilità dirigenziali.

La sfera delle responsabilità imputabili al dirigente sanitario è connessa, in primo luogo, al tema della responsabilità disciplinare per il mancato rispetto delle regole poste a presidio dell’attività svolta dovuto a un comportamento negligente e colposo; in secondo luogo si pone il tema della responsabilità dirigenziale propriamente detta, che attiene al mancato raggiungimento dei risultati da parte del dirigente; infine, si collega il tema della responsabilità amministrativa che si riferisce alle conseguenze dannose delle scelte effettuate dal dirigente per il patrimonio della pubblica amministrazione.

Sotto il profilo della responsabilità disciplinare, rileva una condotta illecita e colposa che qualora dovesse incidere gravemente sul rapporto fiduciario tra amministrazione sanitaria e dirigente potrebbe condurre al licenziamento per giusta causa.

La responsabilità dirigenziale rappresenta invece un ulteriore profilo sotto il quale il dirigente del comparto sanitario può essere chiamato a rispondere previo espletamento delle opportune procedure di valutazione. Si tratta di una tipologia di responsabilità che attiene ai risultati complessivamente prodotti dall’organizzazione cui il dirigente è preposto. In particolare, in questo tipo di responsabilità il dirigente è chiamato a rispondere del rapporto esistente tra scelte adottate, risultati ottenuti e conseguimento degli obiettivi a esso assegnati (secondo la giurisprudenza amministrativa, infatti, «la responsabilità dirigenziale rappresenta una fattispecie speciale tipica di responsabilità che si distingue dalle altre per integrare un giudizio non tanto di colpevolezza ma di idoneità all’esercizio di funzioni dirigenziali attribuite»).

Infine, in riferimento alla responsabilità amministrativa del dirigente per i danni prodotti alla struttura di appartenenza, va sottolineato che essa rileva sotto un duplice aspetto: (1) anzitutto con riguardo ai poteri di direzione, vigilanza e controllo sull’operato del personale subordinato; (2) nonché rispetto all’affidamento del paziente alla maggiore esperienza e alla superiore capacità tecnica dello stesso rispetto sa collaboratori. Tale responsabilità può estrinsecarsi come responsabilità indiretta nell’ipotesi di danni causati a terzi che l’amministrazione deve risarcire o, come responsabilità diretta per i danni causati alla struttura sanitaria. Nel primo caso si tratta di attività clinica diagnostica e terapeutica riferibile a tutte le professioni sanitarie. In relazione alla seconda ipotesi, invece, trattasi di danno causato alla pubblica amministrazione per impiego non funzionale ed efficiente di risorse pubbliche.

 

Bibliografia: R. Balduzzi – G. Carpani (a cura di), Manuale di diritto sanitario, Bologna, 2013; M.P. Monaco, La dirigenza sanitaria: il correttivo rende effettiva la riforma, in Giornale di diritto amministrativo, 6, 2017, 699 ss.; A. Pioggia, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino, 2017; A. Pioggia, Le nomine dei vertici della sanità, in Giornale di diritto amministrativo, 6, 2016, 733 ss.; A. Pioggia, Direzione e dirigenza nelle aziende sanitarie. Una analisi della distribuzione del potere decisionale alla luce degli atti aziendali, in Sanità pubblica e privata, 3, 2008, 5 ss.



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